Sedda: “I Quattro Mori ci hanno unito nella disunità, ma è ora di cambiare”

“La bandiera sarda tocca corde affettive profonde, tocca la nostra identità, soprattutto quella presente e futura”. Sulla questione dei Quattro Mori è ancora aperto un dibattito decennale: c’è chi parla di immagine che non ci appartiene più, chi chiama in causa storie di sconfitta e sottomissione, come lo scultore Pinuccio Sciola.

Franciscu Sedda, segretario del Partito dei Sardi, da anni dedica le sue energie allo studio di quella che fu la prima vera bandiera sarda, l’Albero Arborense che gli isolani sventolavano a Sanluri nella battaglia dove furono poi sconfitti dagli Aragonesi. Era il 1409, l’albero sradicato fu il vessillo dell’ultima resistenza contro i dominatori in arrivo da lontano, è per questo che secondo Sedda oggi dovrebbe stare al posto dei Quattro Mori.

Sedda, perché i Sardi si indignano al solo pensiero di rimettere in discussione la bandiera?
Chi oggi si strappa le vesti per i Quattro Mori immagina che gli venga tolto un appiglio di sardità che è servito a colmare una grande domanda di identificazione. In questi anni è cresciuto fra i sardi un vuoto che continua a far male perché la storia della nazione sarda non è nelle scuole, non è nel discorso quotidiano, non è nella nostra coscienza. Per anni il simbolo dei Quattro Mori ci ha unito nella nostra disunità, e infatti la usano tutti, dagli indipendentisti agli unionisti, dalla sinistra alla destra, anzi persino i militanti sardi dei partiti italiani di destra o estrema destra. Anche io per anni, quando non era di moda e si passava addirittura per ‘grezzi’, ho sventolato i Quattro Mori. Con degli amici abbiamo invaso apposta piazza San Giovanni portandoci appresso una fascina di bandiere da regalare. Ma già all’epoca era abbastanza chiaro che non stavamo dicendo ‘siamo una nazione diversa, vogliamo la libertà’, ma semplicemente cercando un segno di identità. Ecco perché vorrei proporre di pensare il cambiamento come ho fatto io.

L’albero arborense al posto dei Quattro Mori?
Esatto. Quando ho scoperto la storia dietro all’Albero di cui da sempre mi aveva parlato mio babbo ho scoperto non tanto che i Quattro Mori li avevano portati gli invasori aragonesi, cosa che più o meno gli studiosi ammettevano, sebbene con imbarazzo, quanto piuttosto che avevamo avuto una bandiera la cui memoria parlava di unità e indipendenza.

Eppure anche solo a parlare di cambiamento si levano gli scudi dell’orgoglio e dell’identità. Cancellare un simbolo così forte è impresa impossibile?
È come quando finisce una relazione, magari intensa, magari apparentemente indissolubile, perché si trova un amore più profondo, più nostro. Quando accade non si tratta di bruciare le foto della vecchia relazione ma piuttosto di riporle con cura nei luoghi della memoria. Senza astio, senza acrimonia. Ma anche senza la paura di rimettersi in gioco, di abbracciare qualcosa di più vero, di più proprio. Mi rendo conto che se uno non ha avuto la fortuna di fare una immersione nella storia sarda da un punto di vista nuovo, indipendentista, questo risulta difficile. Anche per questo serve un nuovo indipendentismo, che costruisce concretamente lo Stato nell’azione culturale tanto quanto nell’azione di governo.

Quali esempi ci ha lasciato la storia?
Il caso a noi più vicino è l’Italia: il tricolore italiano nasce per imitazione di quello francese. Sull’onda della rivoluzione francese nascono decine di tricolori in tutta Europa, sono il segno della rivoluzione, del repubblicanesimo, della triade “libertà, uguaglianza, fraternità”. Ovviamente ogni popolo cambia qualcuno dei colori. Gli italiani mettono il verde al posto del blu. Gli irlandesi optano per il verde e l’arancione. Gli stessi rivoluzionari sardi, i seguaci di Angioy per intenderci, quando ancora nel 1802 compiono gli ultimi tentativi di proclamare la Repubblica di Sardegna sventolano il tricolore francese: si noti bene, non usano il tricolore italiano che già esiste, perché sono repubblicani sardi e non italiani ma nemmeno usano i Quattro Mori, che anzi levano dalla torre di Santa Teresa di Gallura che conquistano dopo il loro sbarco dalla Corsica, perché è la bandiera del Re e del potere sabaudo da cui vogliono liberare l’isola. Nemmeno usano l’Albero perché non lo ricordano! Che è il grande problema dei popoli. Se fossero riusciti a vincere forse oggi avremmo un tricolore anche noi, chissà con quali colori. Le bandiere che ci sembrano così intime, quasi arrivassero dalla notte dei tempi, sono frutto della storia. Una storia fatta a volte dal caso. A volte dall’occasione. Altre volte da un progetto. Come è accaduto nel Sud Africa di Mandela: alla fondazione dello Stato post-apertheid ha corrisposto la creazione di una bandiera multicolore. In tal senso, sono convinto che se noi sardi creeremo qualcosa di nuovo, di istituzionalmente nuovo, con tutta probabilità finiremo per darci una bandiera nuova. È un fatto quasi scontato.

L’albero verde…

Io credo che sia la cosa più nuova che abbiamo. Il fatto che ce lo siamo scordati ci consente di essere nuovi proprio ritessendo i fili lacerati della nostra storia più alta. Del resto se io oggi dovessi andare a sventolare una bandiera durante la commemorazione de Sa Batalla, quale bandiera dovrei portare per pagare il debito con i sardi che si sono uniti e sacrificati per la nostra libertà? Quella dell’Albero usata dai sardi o quella coi Quattro Mori che rappresentava la corona d’Aragona? Certo, qualcuno potrebbe portare i Quattro Mori dicendo che sta comunque andando a tifare per la Sardegna. Ma sarebbe come entrare al Sant’Elia a vedere Cagliari-Roma con la bandiera della Roma. Chi ci crederebbe che se lì a tifare per il Cagliari? Chi ci crederebbe che tutto il tuo amore è per i sardi e la Sardegna? Forse è per questa confusione che nonostante tutto l’orgoglio apparente non riusciamo veramente a credere in noi stessi. Per ora.

Francesca Mulas

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