Gian Antonio Stella: “Sardi, i soldi sono finiti. Combattete con tutta la vostra intelligenza”

“Vandali. Assalto alle bellezze d’Italia”. Il libro è del 2011, ma il solo titolo chiarisce quanto sia d’attualità. Gian Antonio Stella (che l’ha scritto assieme a Sergio Rizzo) l’ha presentato assieme a Renato Soru in un incontro organizzato dall’Associazione Nino Carrus, presieduta da Fausto Mura, nel Centro servizi culturali di Macomer. L’abbiamo intervistato.

Stella, l’alluvione di due settimane fa ha portato il tema dei “vandali”, cioè della devastazione del paesaggio, al centro del dibattito politico-culturale della Sardegna. Cosa si può fare per combatterli?

“Io sono per ricominciare dalle scuole. La storia dell’arte dovrebbe essere obbligatoria nella scuola, fin dalla prima elementare, per tutto il percorso scolastico. E’ un investimento per il futuro. E credo che prima o poi l’Italia sarà costretta a puntare proprio su questa sua carta vincente”.

Che ruolo può avere l’informazione Paese che, come l’Italia, è scivolato al 69° posto della classifica mondiale della libertà di stampa?

“Queste classifiche sono state fatte quando c’era una pre-potenza, quella berlusconiana, su tutta l’informazione italiana. Oggi la situazione è già cambiata e le televisioni non sono più tutte schiacciate nell’esaltazione del conducador, Ma, Berlusconi a parte, sono convinto che la stampa italiana è poco coraggiosa su certi temi. Mi piacerebbe che i giornali facessero delle vere battaglie: per migliorare l’università, per migliorare la concorrenza, per cambiare gli ordini professionali. Battaglie per rovesciare le cose che non funzionano. Ancora, purtroppo, le battaglie sono su temi squisitamente partitici, ‘a favore’ di qualcuno o ‘contro’ qualcuno…”

Quando parla di miglioramento degli ordini professionali si riferisce anche all’ordine dei giornalisti?

“Sono per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti. L’ho sempre detto. La differenza enorme tra me e Grillo e che lui è per l’abolizione dell’ordine per ripicca, sfizio propagandistico, o elettorale. Io sono per abolire invece tutti gli ordini professionali. A meno che non cambino radicalmente. E cioè che facciano davvero pulizia al loro interno. Se, per esempio, l’ordine degli architetti tollera, cioè non commina alcuna sanzione, che l’architetto di Diego Anemone, il dottor Zampolini, porti i soldi per regalare ‘a sua insaputa’, la casa a Scajola, e poi censura una giovane architetto, disperata perché non c’è lavoro, che offre su internet tariffe professionali giudicate troppo basse… ecco a me non interessa un Ordine di quel genere. Che senso ha poi che l’ordine degli avvocati di Roma ci mette anni ad espellere l’avvocato  Previti, dopo due condanne in Cassazione per corruzione di magistrati? L”ordine dei giornalisti in fondo è stato l”unico ad essere intervenuto: penso al caso di Renato Farina coi servizi segreti, o di Vittorio Feltri per la polemica sulle foto dei bambini. In alcuni casi, forse, ha perfino esagerato, però qualche decisione l’ha presa. In Sicilia, invece, un medico non è stato sospeso nemmeno dopo una condanna definitiva per voto di scambio mafioso…”

Come si possono denunciare i difetti dell’Italia e della Sardegna senza cadere nella sterile lamentela?

“Credo che la lamentela, la lagna, sia una malattia che ha colpito varie parti dell’Italia. De Gasperi e Togliatti, per esempio, dopo la fine della guerra, sono andati avanti negli anni a dire “non abbiamo potuto far questo perché siamo usciti dalla guerra, perché c’è stato il Duce, il fascismo” e così via… Questa lagna è fastidiosa, ma non riguarda solo il Mezzogiorno. Bossi, per esempio, si è lagnato per anni per il ‘povero Nord’ sfruttato dal resto d’Italia. Allo stesso modo nel Sud ci sono le lagne sul ‘povero Sud’ sfruttato. Questo è un gravissimo difetto dal quale dobbiamo assolutamente uscire…”

Essere conseguenti, quindi, è questo il punto?

“Certo. Larga parte del Mezzogiorno dice ma noi siamo stati sotto i Romani, poi sotto gli Arabi, e poi siamo stati sotto i Savoia. E cosa dovrebbero dire i Bulgari? Che sono stati secoli sotto i Turchi. Poi son finiti sotto il comunismo…Noi siamo stati sotto gli Arabi appena 150 anni…”

Tornando all’informazione, in Sardegna  non esiste una legge che regolamenti il finanziamento pubblico. In scala, qui, si è replicata una situazione già vista in campo nazionale. Ma è proprio vero che chi controlla la stampa controlla il potere?

“Chi controlla la stampa è molto favorito politicamente. Su questo non c’è dubbio. Credo che avere il benevolo via-libera del Corriere negli anni ’50 o ’60 fosse vitale. Non so se sia così oggi. Un po’ perché c’è più concorrenza a livello nazionale, un po’ perché sono emerse le televisioni e le radio private, e internet. Tenderei però a non esagerare sul peso che possono avere i giornali, e neppure la televisione: con tutte le televisioni a favore Berlusconi, tutto sommato, è riuscito a perdere due elezioni su cinque”.

L”alluvione ha in parte confermato – ed in parte anche sfatato – alcuni miti o stereotipi sui sardi: individualisti, divisi, ma anche generosi e solidali. Secondo Lei, la tanto sentita Identità del popolo sardo può anche tradursi in coscienza popolare al momento del voto?

“Va detto i sardi hanno avuto in questi anni molti soldi. Soldi che sono stati spesi male. Col senno di poi ora si può dire che investire a Porto Torres su chimica, su petrolio, probabilmente è stato un errore, ma i soldi sono arrivati. Sono stati spesi male perché l’autonomia è stata usata facendo un pessimo servizio alla necessità di maggiore decentramento. Ma continuo a credere che il federalismo possa essere una straordinaria opportunità per tutti. Amministrare sé stessi significa poi risponderne ai cittadini in maniera diversa. In linea di principio viva il federalismo. Purtroppo il suo uso è stato a volte così abnorme da fare molti più danni di qualsiasi centralista mondiale.”

Lei gira l’Italia  e il mondo. Come vede la situazione della Sardegna attuale in questo contesto?

“Intanto devo dire che la Sardegna è una regione del Sud, che però è una cosa diversa dal Sud. È vero che qualche anni fa a Lula, passavi e si chiudevano le persiane. Ma, tranne qualche pezzo di emarginazione contadina,  la Sardegna è certamente un posto molto più civile di altre regioni italiane. Anche alla crisi ha reagito in modo diverso. I sardi sono diversi dagli altri. E questa è sicuramente un’opportunità. Sono d’accordo con Soru al cento per cento quando dice che da una crisi epocale come questa non se ne esce con dei ‘provvedimenti’. Si possono trovare dei modi per alleggerire questa situazione riducendo il costo del lavoro, inventando dei meccanismi diversi per le assunzioni ecc… Ma la situazione che c’era una volta per cui l’Italia interveniva drogando le economie locali ora è finita. La Sicilia era partita dal 64% del redditto italiano nel secondo dopoguerra, negli anni ’50. Poi si è tirata su fino al 75% circa, drogando l’economia con finanziamenti pubblici, a fondo perduto, come nel resto d’Italia…ma quei soldi ora non ci sono più. Per nessuno…”.

Allora che fare?

“Valorizzare il patrimonio culturale e valorizzare le intelligenze. Bisogna mettere nuove generazioni nella condizione di avere un lavoro. Tutti fanno campagna elettorale dicendo che poi le strade saranno tutte in discesa, ma non è così. È bene che i nostri ragazzi lo sappiano:  le strade saranno tutte in salita. Bisogna andare a recuperare anni e anni di ritardo. Non si parte, per esempio, dal 93° posto per velocità di download su internet e si recuperano facilmente 40 posizioni. Ci vogliono anni perché contemporaneamente gli altri andranno sempre più avanti. Ma non ci sono alternative”.

Davide Fara

 

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