Deiana (Anci): “Subito una vertenza entrate per i Comuni sardi”

“La Regione apra col Governo nazionale una vertenza entrate per i Comuni della Sardegna”. A chiederlo è Emiliano Deiana, il presidente di Anci che a sostegno della proposta porta un dossier coi numeri dei trasferimenti statali tagliati da Roma. “Solo dal 2009 al 2015 la cifra ammonta a un miliardo e 200 milioni – dice -, a cui vanno aggiunti i soldi fermi nelle casse degli enti locali per via del Patto di stabilità prima e dei bilanci armonizzati attualmente in vigore. E stiamo parlando di un altro miliardo e 400 milioni”.

Presidente, dopo sei mesi di mandato il termometro dei Comuni lo conoscerà benissimo.

La temperatura è alta. Ci sono troppe questioni irrisolte che bisogna affrontare con saggezza e spirito critico.

Tutto fa pensare che, archiviato il Ferragosto, Anci starà col fiato sul collo della Regione.

Non possiamo fare diversamente. A nostro parere la vera vertenza entrate da aprire con lo Stato è quella che riguarda il sistema degli enti locali. Un sistema che al momento si regge sul Fondo unico che ai Comuni viene assegnato ogni anno proprio dalla Regione. Per questo, e a maggior ragione, crediamo che la Giunta abbia tutto l’interesse a trattare col Governo un recupero di risorse.

I referenti della vostra richiesta sono il presidente Pigliaru e gli assessori Paci ed Erriu, rispettivamente alla Programmazione e agli Enti locali. Vi siete già incontrati?

A breve chiederemo un confronto, non appena completiamo il dossier già anticipato a fine giugno (leggi qui). Due miliardi e 600 milioni di mancata disponibilità finanziaria sono una cifra enorme che nella sua totalità dipende dalle azioni del Governo.

I Comuni sardi sono tutti uguali?

Direi proprio di no. All’interno del grande contenitore della vertenza entrate, c’è la questione delle zone interne: significa paesi, pastori e agricoltori. Vuol dire contrastare lo spopolamento. È il momento di passare dagli annunci ai fatti: sul punto bisogna far partire la programmazione.

Quanti soldi ci sono?

Attraverso il Patto per la Sardegna, siglato a Sassari nel 2016 tra il governo Renzi e la giunta Pigliaru, ci sono 150 milioni.

Sono pochi o molti?

Sono una goccia nel mare. Per Comuni interni devono intendersi quelli lontani dalle grandi vie di comunicazione, dai poli dell’istruzione come le università e dalle più importanti strutture ospedaliere. Con questo criterio di classificazione, gli enti locali interessati sono tra i 330 e i 340, su 377. Vanno escluse solo l’area vasta di Cagliari, Sassari e Olbia.

La Giunta cosa dovrebbe fare?

Intanto dire che il rilancio delle aree interne è la priorità del Governo regionale. Una volta che l’agenda politica è fissata, a cascata andrebbero riprogrammati i fondi europei orientando la spesa sullo sviluppo rurale, sulle infrastrutture territoriali e sugli aiuti alle imprese dei settori di riferimento, quindi agricoltura, pastorizia e piccolo commercio.

Oggi la spesa com’è orientata?

Attualmente i fondi europei sono concentrati sulla crescita delle aree urbane. C’è un evidente sbilanciamento di investimenti che va riequilibrato a favore delle zone interne. Questo non vuol dire città contro paesi o paesi contro città. Semmai uno sviluppo armonico. Ma non si tratta solo di risorse: la questione riguarda anche i poteri. La stessa legge 2 del 2015, quella che ha riorganizzato in Sardegna il sistema delle autonomie locali, è troppo piegata verso la Città Metropolitana di Cagliari. La quale risulta oltremodo rafforzata.

La Regione, però, non ha i soldi per fare tutto.

La Sardegna ha a disposizione tre miliardi di fondi europei. Il Patto per la Sardegna vale in totale due miliardi e 900 milioni. A ben vedere non è un problema di disponibilità finanziaria, ma di scelte. Quando a fronte di quasi sei miliardi se ne destinano appena centocinquanta per le zone interne, vien da sé che l’obiettivo non sia riconosciuto come prioritario.

Ammettendo che da domani la Regione decida di intervenire su questo riequilibrio da lei evidenziato, si pone un secondo problema: come si fa a frenare lo spopolamento in attesa che le aree rurali conoscano una nuova stagione di sviluppo?

Le politiche di contrasto allo spopolamento purtroppo non hanno ricette. Al contrario sono sperimentali. E chi dice di conoscere la soluzione, sta mentendo. Esiste tuttavia una base di partenza che è un abito sartoriale del nostro tempo: il primo divario che va combattuto è quello digitale. Su questo la Regione sta lavorando bene e bisogna dargliene atto. Gli investimenti per le reti della banda larga e ultra larga procedono. Non sappiamo ancora quando si concluderanno tutti i lavori e nemmeno a chi verrà affidata la gestione dei servizi. Ma i cantieri continuano a essere aperti, diversi sono già stati chiusi con successo. Il piano della Regione guarda correttamente al futuro, perché oggi nessuna impresa si insedia in un territorio se non può utilizzare il digitale. Fatto salvo questo intervento fondamentale, non deve più succedere che una scuola venga chiusa. Idem con gli ospedali. Istruzione e sanità sono un presidio del territorio. Lo spopolamento può essere frenato anche studiando meccanismi di fiscalità di vantaggio nelle aree più depresse e a sostegno dell’economia rurale, fatta appunto di agricoltura, pastorizia e piccolo commercio.

L’Anci ha individuato quali zone, tra quelle interne, stanno peggio di altre?

Mettiamola così: il Goceano (nel Sassarese) e la Barbagia di Seulo meriterebbero un maggiore grado di attenzione, perché sono zone non collegate ad alcun contesto territoriale. È un gap anche questo. Faccio invece l’esempio del mio Comune, Bortigiadas: è ugualmente interno, ma ancorato a una provincia economicamente vivace come la Gallura. Si tratta di una differenza sostanziale. Ugualmente il Nuorese conosce storie interessanti di dinamicità imprenditoriale che trainano il territorio, e mi riferisco a Gavoi, Fonni e Mamoiada. Lo stesso non si può dire per la bassa Ogliastra, al confine col Sarrabus: anche qui, al pari del Goceano e della Barbagia di Seulo, servirebbe un supplemento di aiuto. Pure il Barigadu, l’alto Oristanese, è in grave difficoltà: nella zona si contano pochissimi insediamenti produttivi.

I sindaci della Sardegna per cosa protestano di più?

Tra le segnalazioni che riceviamo, la burocrazia è davvero considerata molesta. Poi c’è la questione dell’assenza di fondi, ma anche la disattenzione della politica. Nelle riunioni territoriali è sempre più difficile trovare un consigliere regionale: gli amministratori locali questa assenza la notano e non la capiscono. Manca sempre di più la connessione tra partiti e comunità. La distanza è percepita e non certo positivamente.

Due settimane fa, quando il Movimento pastori sardi ha protestato a Cagliari, l’hanno accusata di fare il capo-popolo.

L’Anci ha un solo obiettivo: colmare la distanza di cui i sindaci si lamentano. Ma non sostituendoci ai consiglieri regionale. Piuttosto creando una rete tra i territori e il luogo dove si prendono le decisioni e si allocano le risorse. Ovvero la Regione. È uno spazio vuoto che l’associazione dei Comuni ha il dovere istituzionale di occupare, perché l’Anci deve stare esattamente lì. Le proteste vanno comprese e incanalate nella giusta direzione, che è appunto la trattativa con i centri decisionali.

La bozza di riforma della rete ospedaliera le piace?

Abbiamo registrato avanzamenti positivi. Anci crede che si possano fare ancora ulteriori passi a garanzia del diritto alla salute.

Sulla legge urbanistica nel Pd si sono fatti le pulci a vicenda, salvo poi scoprire che tutte le correnti del partito vogliono la stessa cosa nella fascia dei trecento metri dal mare, con le riqualificazioni degli alberghi secondo un premio volumetrico fino al venticinque per cento.

L’Anci vorrebbe vedere una legge non concepita per normare le spiagge, ma che si occupi pure delle vette del Limbara o di quelle del Gennargentu. Ci auguriamo che il legislatore regionale abbia la nostra stessa volontà.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

[Foto Youtube dal programma di Sardegna 1 “Io, sindaco”]

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