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Lo scandalo dei fondi gruppi. Storia di un’inchiesta (dalla A alla Z)

Cinque anni di indagini (e non sono finite), 64 onorevoli accusati di peculato, tre dei quali arrestati, decine di carriere politiche a rischio. È l’inchiesta sui fondi i gruppi del Consiglio regionale, l’indagine giudiziaria che ha segnato la vita politica dell’anno che si è appena concluso. Fino al drammatico ritiro di Francesca Barracciu dalla corsa per la guida della Sardegna.

La Procura della Repubblica di Cagliari ha messo sotto la lente d’ingrandimento 24 milioni di euro, soldi pubblici assegnati – dal 2004 a oggi – ai partiti presenti in Aula come contributo per la loro attività politica. Ma utilizzati – questa è la tesi su cui si fonda l’accusa di peculato – per altre finalità. A volte politiche, ma estranee a quelle del gruppo consiliare, a volte addirittura per fare shopping di oggetti preziosi. E persino – è stato il caso più clamoroso – per pagare le spese di un matrimonio.

In occasione dell’inizio del nuovo anno Sardinia Post ha deciso di raccontarla letteralmente “dalla A alla Z”, sintetizzandola in un piccolo vocabolario. Uno strumento per orientarsi in una vicenda complessa della quale si continuerà ancora a parlare in questo 2014.

A come Atzeri, il sardista che di nome fa Giuseppe: è partito da lui lo tsunami che sta travolgendo la massima assemblea sarda. Due legislature fa, Atzeri era il presidente del Gruppo Misto e avrebbe falciato lo stipendio di un’impiegata, Ornella Piredda, che nell’autunno del 2008 lo denunciò due volte per mobbing. Perché lei – era scritto negli esposti – chiedeva ai consiglieri regionali la rendicontazione delle spese fatte con i soldi dei gruppi. Di lì la presunta ritorsione nei confronti della Piredda, la sua denuncia e l’avvio dell’inchiesta della Procura.

B come Bipartisan: i 64 onorevoli finiti sul registro degli indagati, o già rinviati a giudizio, spaziano da destra a sinistra, passando per il centro e i partiti autonomisti. L’intero arco politico dell’Aula è sotto accusa, cioè Pdl, Pd, Udc, Psd’Az, Idv, Fortza Paris e Socialisti. Ma l’inchiesta riguarda anche forze che nel tempo di sono sciolte, come An, Ds, Margherita e Progetto Sardegna. E la rediviva Forza Italia.

C come Cocco: ovvero, il pm Marco. La sua linea accusatoria poggia sul codice penale, cinque articoli della Costituzione (3, 81, 97, 100 e 103) e su una sentenza della Cassazione. La tesi è che – sebbene fino al 2009 il regolamento del Consiglio regionale non prevedesse di allegare le pezze giustificative alla rendicontazione delle spese – quando si maneggiano soldi pubblici si è obbligati a documentarne l’utilizzo “in maniera puntuale e coeva”.

D come Diana (Mario), l’ex capogruppo del Pdl in cella a Oristano dal 6 novembre. Un uomo “dotato di notevole capacità a delinquere, privo di scrupoli, un monarca assoluto”, ha scritto di lui il Tribunale del Riesame che gli ha negato i domiciliari. Dal 2009 al 2012, Diana ha gestito i 4.618.796 euro di fondi pubblici andati ai berlusconiani dell’Aula e non avrebbe giustificato spese per 271.149,79 euro. Tra gli acquisti sospetti figurano due Rolex, 69 penne Montblanc e nove libri antichi.

E come Etoile: è la Montblanc più costosa tra quelle comprate da Diana. Prezzo: 695 euro. Si tratta di una penna a sfera.

F come Faraonico: così è stato definito il matrimonio di Carlo Sanjust nell’ordinanza con la quale lo scorso 6 novembre il gip Giampaolo Casula ha motiva l’arresto del consigliere del Pdl, sospeso dall’incarico dal 3 dicembre (ma prende un assegno alimentare di 1.904 euro netti al mese). Sanjust è stato inchiodato dall’imprenditrice che organizzò il suo banchetto di nozze nella passeggiata coperta del Bastione Saint Remy, a Cagliari, il 9 maggio del 2009. Con due assegni l’onorevole pagò la fattura da 25mila euro, ma poi in contanti se ne fece ridare 23.340. Sanjust ha ottenuto i domiciliari il 13 dicembre dopo aver restituito  25.200 euro.

G come Golden boy: è Riccardo Cogoni, l’imprenditore cagliaritano finito in manette insieme a Diana e Sanjust per concorso in peculato. È ai domiciliari dal 16 novembre. Secondo l’accusa, Cogoni, attraverso quattro sue società, si sarebbe prestato a fare fatture false al Pdl. In totale 101.898 euro, di cui 38.400 per biglietti di auguri tra il Natale 2009 e la Pasqua del 2010. Ma all’imprenditore si sono rivolti tutti i gruppi del Consiglio e il pm Cocco è al lavoro per verificare la regolarità delle altre fatture emesse.

H come Hair style. Nella precedente legislatura i fondi ai gruppi sono stati usati anche per pagare il parrucchiere. Ma non si è mai saputo quale onorevole avesse allegato le ricevute per taglio e messa in piega.

I come Interdizione. Dai pubblici uffici. È la pena inflitta il 20 novembre ad Adriano Salis, l’ex Idv condannato un anno e otto mesi con condizionale. Il processo contro Salis è l’unico andato a sentenza perché l’ex dipietrista aveva chiesto il rito abbreviato.

L come Ladu. Cioè Silvestro che era un consigliere regionale di Fortza Paris quando nel 2009 fu accusato di peculato, nella prima inchiesta. La Procura di Cagliari, che lo ha già rinviato a giudizio, gli contesta 265mila di spese sospette. Per lui un rosario di presunti acquisti irregolari: un frigorifero per la casa, una bombola del gas, i sensori anti-urto per l’auto del figlio, un conto dal carrozziere e stanze d’hotel a Budapest, Londra, Vienna, Roma e Madonna di Campiglio. Ma anche fatture di ristoranti a La Caletta e Siniscola (Ladu è di quella zona) e acquisti in negozi di bricolage.

M come Maialetti, entrati e usciti dall’inchiesta senza diventare corpo di reato. Perché i quindici porcetti, mangiati ai convegni sull’obesità organizzati da Sisinnio Piras nella palestra della moglie, non sono stati pagati con i fondi dei gruppi. Piras, il pidiellino in carcere dal 18 dicembre, terzo berlusconiano a finire in manette nel giro di un mese e mezzo, di professione fa l’allevatore e i maialetti in questione li ha presi dalla sua azienda. Ma a differenza dei banchetti che davvero ci sono stati, i convegni non si sarebbero mai tenuti e per questo Piras è stato arrestato. Il precedente in tema culinario è di Ladu che, con un assegno da 10.500 euro, pagò un vitello, 30 pecore, formaggi e vini vari offerti a un pranzo elettorale organizzato a Sedilo.

N come Niet. È il rifiuto di Pietro Pittalis a ricevere in omaggio una delle penna Montblanc acquistate da Diana. Grazie a quel regalo non preso, Pittalis non è mai finito sul registro degli indagati. Non solo: a giugno 2012 il Pdl ha scelto proprio Pittalis per sostituire Diana come capogruppo, quando quest’ultimo fondò “Sardegna è già domani”.

O come Onorio. Il suo cognome è Petrini. Anche lui è un berlusconiano, con record: è stato il primo a restituire i soldi al partito. Precisamente i 25mila euro che l’odontotecnico avrebbe usato irregolarmente per comprare venticinque ciotole d’argento.

P come Paghetta. Poggia qui il presunto mal costume diffuso in Consiglio regionale e su cui la Procura di Cagliari ha costruito la propria tesi accusatoria: i gruppi, che prendono una quota fissa per consigliere pari a 2.500 euro (poi ridotta a 2mila), anziché gestire i soldi collegialmente li avrebbero consegnati agli onorevoli, come fossero appunto una sorta di “paghetta” aggiuntiva. Questo spiega perché molti consiglieri  sono sotto inchiesta per un’identica cifra.

Q come Quadri, quelli del pittore cagliaritano Adolfo Floris, noto “Fofo”. La Polizia giudiziaria ne ha cercati tre in casa degli onorevoli sardisti perquisiti il 17 dicembre. Alla fine, le opere d’arte sono state trovate negli uffici del Psd’Az in Consiglio regionale. Dopo quei controlli anche i rappresentanti dei Quattro Mori – Giacomo Sanna, Efisio Planetta e Christian Solinas – hanno ricevuto un avviso di garanzia per peculato.

R come Rifornimento. Sono i rimborsi benzina attraverso i quali Francesca Barracciu ha giustificato le spese: 33mila euro incassati dall’eurodeputata in tre anni, dal 2005 al 2008, per coprire i 72mila euro percorsi a bordo della sua Peugeot 407. Una macchina che poi si è fusa, come la stessa Barracciu ha fatto sapere.

S come Silenzio: è la strategia scelta da quasi gli avvocati degli onorevoli Pd indagati a inizio ottobre. Finora dal pm si sono fatti interrogare soltanto in quattro su 33. Oltre la Barracciu, Alessandro Frau (ex Progetto Sardegna) e i due ex Dl Marco Espa e Marco Meloni. Frau è stato l’unico a non chiedere nemmeno un rinvio. Davanti al pubblico ministero si è presentato subito, il 25 ottobre.

T come Terzo, intendendo il grado di giudizio. È una sensazione diffusa: visto come è andata a Salis, è facile pensare che nessun altro consigliere regionale chiederà il rito abbreviato. Quanto basta per capire che la partita sarda dei fondi ai gruppi si concluderà tra anni, in Cassazione.

U come Uggias. Il suo nome è Giommaria. Insieme a Renato Lai (ex pidiellino passato con Alfano) e ad Alberto Randazzo (ex Udc entrato nel Pdl), il dipietrista Uggias è uno dei tre onorevoli che ha ricevuto un avviso di garanzia per entrambe le inchieste sui fondi ai gruppi e per la prima è già stato rinviato a giudizio. All’europarlamentare Idv, che da novembre è il nuovo segretario del partito, la Procura contesta molte spese. Dai biglietti aerei per Roma (sarebbero stati acquistati anche per qualche collaboratore) a un viaggio a Manchester (dove viveva la sorella). Nella lista nera pure un ponte dell’Immacolata trascorso a Napoli e 1.100 euro pagati a un operatore dei servizi cimiteriali per attaccare manifesti elettorali.

V come Vergogna. È la parola che il popolo della Rete ripete con più frequenza per commentare la doppia inchiesta della Procura. Un’ondata di indignazione che ha portato pezzi di centrosinistra, ma anche i Riformatori in quota centrodestra, a sollevare la questione morale.

Z come Zurito. È solo uno dei tanti ristoranti che al Pdl ha fatturato il pacchetto “convegno+cena”. Il Zurito, di Villacidro, rientra nelle spese sospette di Piras insieme a un altro ristorante della zona che si chiama Il Cuevador. Ma nei faldoni del pm ci sono pure l’hotel Orlando Resort di Villagrande Strisaili e i locali cagliaritani “Ci pensa Cannas” e “Lo spiedo sardo”.

Alessandra Carta

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