Ci sono gli appunti-slide coi quali il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha sintetizzato la vertenza Alcoa che riparte adesso dagli svizzeri di Sider Alloys. Oggi, a Roma, la firma dell’accordo di cessione con il tramite di Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti che aveva rilevato la fabbrica di Portovesme dopo il definitivo addio degli americani nel 2016.
Intanto: a Portovesme, tra Alcoa ed Eurallimina, c’è “l’unico impianto industriale italiano per la produzione di alluminio”, si legge. E si tratta di un polo industriale che da solo può arrivare a soddisfare “l’ottanta per cento del fabbisogno nazionale”, visto che il materiale si usa in più settori, da quello automobilistico all’aerospaziale, passando per le costruzioni e il confezionamento degli alimenti.
Per questo Calenda ha ipotizzato, come spiegato dallo stesso ministro nella conferenza stampa seguìta alla firma dell’accordo – di studiare un possibile azionariato di Invitalia. Ma anche una partecipazione dei lavoratori. “L’obiettivo del Governo – ha detto Calenda – è quello di rimettere il Sulcis in condizione di fare il ciclo completo”. Per questo “Invitalia sta avendo un ruolo sempre più importante: ho chiesto all’agenzia di verificare una possibile acquisizione di quote nella nuova società che gestirà l’impianto ex Alcoa, in modo da rafforzare e dare spalle all’investitore. Ho anche chiesto di pensare, se plausibile, a una partecipazione nell’azionariato riservata ai lavoratori che hanno combattuto per tenere l’impianto aperto”.
Ancora il ministro: “La crisi di Alcoa è nata dall’idea che determinate produzioni non si potessero più fare in Occidente e in particolare in Italia. Ma si tratta di una posizione che noi non condividiamo, visto che il nostro Paese è un importatore di alluminio. Ovvero, lo consumiamo. Quindi è importante aver dato una prospettiva ad azienda e operai”. (al. car.)