Transistor organici e neuroni 3D in vitro: Andrea Spanu, un ricercatore di frontiera

Transistor organici in grado di studiare reti di comunicazione tra i neuroni, colture neuronali 3D in vitro, sensori di pressione per applicazioni quali pelli robotiche ed epidermide elettronica. Questi sono soltanto alcuni dei progetti di cui si occupa Andrea Spanu, ricercatore dell’Università di Cagliari – classe 1985 – specializzato nello sviluppo di interfacce bioelettroniche di nuova generazione per applicazioni neurofisiologiche. L’idea di utilizzare transistor organici in ambito elettrofisiologico nasce nel 2011 con la tesi specialistica in Bioingegneria a Genova dal titolo “Progettazione e realizzazione di un sensore a semiconduttore organico per applicazioni elettrofisiologiche”. “Dai primi risultati promettenti – racconta il ricercatore – sono nate le basi per un lavoro di dottorato, svolto a Genova in convenzione con l’Università di Cagliari, che è proseguito con la collaborazione con l’IBM Almaden Research Center in California partita nel 2016”. Lavoro di dottorato premiato nel 2015 dal Gruppo Nazionale di Bioingegneria e pubblicato nella collana dedicata alle migliori tesi di dottorato di tutto il mondo.“Oggi – prosegue il ricercatore – stiamo proseguendo il cammino iniziato con la tesi specialistica e stiamo testando, all’Università di Genova, nuovi dispositivi organici chiamati MOA, Micro OCMFET Array, che nella versione attuale saranno in grado di monitorare sia l’attività elettrica che quella metabolica di colture di neuroni in vitro”.

La ricerca

Sono proprio i transistor organici la base ed il filo conduttore di una ricerca che ha l’obiettivo di portare ad una maggiore comprensione dei meccanismi di comunicazione tra dispositivi elettronici e tessuti biologici. Questi transistor chiamati Organic Charge Modulated FET, abbreviati OCMFET, sono stati inventati e brevettati all’Università di Cagliari e, grazie alla loro particolare struttura, permettono di realizzare sensori di carica sensibilissimi, mantenendo tutte le caratteristiche proprie dell’elettronica organica.“Il MOA – racconta Andrea Spanu – è stato progettato in maniera specifica per applicazioni neuro-fisiologiche in vitro, in particolare applicazioni neuro-computazionali e farmacologiche”.

Allo stato attuale la difficoltà maggiore relativa alle interfacce bioelettroniche consiste proprio nella natura dei dispositivi utilizzati: i transistor basati sulla tecnologia del silicio e i microlettrodi metallici. Questi due dispositivi sono infatti caratterizzati da elevata rigidità meccanica, poca biocompatibilità ed elevati costi di produzione. “Secondo noi – racconta Andrea Spanu – è possibile risolvere questi problemi utilizzando particolari dispositivi elettronici cosiddetti “organici”, che devono cioè il loro funzionamento alle proprietà elettriche di materiali contenenti carbonio. Questi dispositivi hanno l’interessante caratteristica di poter essere fabbricati su substrati flessibili, dalle ottime proprietà meccaniche, biocompatibili e poco costosi”.

Oggi i transistor organici sono difficilmente in grado di monitorare più di un parametro per volta e l’obiettivo è di svilupparne di più performanti. Dispositivi multisensing, ossia che monitorano contemporaneamente più parametri quali l’attività elettrica e metabolica cellulare ma anche variazioni di temperatura e stress meccanico. Aggiunge il ricercatore: “Questi nuovi transistor saranno utilizzati per mettere in comunicazione dispositivi elettronici e tessuti biologici al fine di registrare o stimolare l’attività “bio-elettro-chimica” di questi ultimi per studiare i diversi aspetti del “sistema cervello” con l’obiettivo ultimo di realizzare applicazioni robotiche o riabilitative”.

Cervelli in provetta

Ci vuole ancora del tempo prima che si arrivi ad applicazioni del genere. Oggi i ricercatori si stanno concentrando sullo studio di transistor con colture neuronali planari in 2D che hanno portato ad interessanti scoperte nell’ambito delle neuroscienze computazionali ed ampliato le frontiere della ricerca in ambito farmacologico, ma hanno anche dei forti limiti. “I neuroni, quando coltivati sui dispositivi elettronici classici in vitro, si organizzano sulla superficie in una rete che rimane confinata nelle 2 dimensioni – spiega Andrea Spanu -. Questa configurazione è ben lontana dalla reale situazione cellulare all’interno del cervello, e questa differenza incide sul comportamento elettrico della rete stessa e sulla risposta delle cellule durante esperimenti farmacologici”.

Il cervello in provetta 3D è già nella “to do list”. Un ulteriore passo in avanti è costituito dalla realizzazione di modelli 3D dove è possibile estendere la complessità del sistema e fare un reale studio su un vero e proprio cervello in provetta. Aggiunge il ricercatore. “Negli ultimi anni molti gruppi di ricerca nel campo delle neuroscienze stanno cercando di sviluppare nuove colture dette 3D. Queste vengono fatte sviluppare anche nella terza dimensione e permettono di ricreare una situazione più simile a quella esistente nel cervello. Questo tipo di colture necessitano di dispositivi elettronici capaci di registrare e stimolare l’attività elettrica non solo dal “piano terra” ma anche da diversi livelli all’interno di queste strutture cellulari 3D in modo da poterne studiare i processi di comunicazione in maniera precisa e in una situazione più vicina a quella fisiologica”.

La collaborazione tra i tre istituti non prevede soltanto una evoluzione del transistor organico ma anche la realizzazione di nuovi dispositivi appositamente progettati per poter lavorare con questi nuovi “cervelli in provetta”. Aggiunge il ricercatore: “La tecnica utilizzata per la fabbricazione di questi dispositivi è completamente compatibile con i materiali plastici di cui è composto il MOA, e la realizzazione di un MOA 3D è già nella nostra personale to-do list.”

Prospettive: la ricerca non si ferma qui

Ha concluso il ricercatore: “Stiamo lavorando anche su altri progetti. Ad esempio ha preso il via recentemente la realizzazione di dispositivi per applicazioni in vivo basati sull’OCMFET. Sto lavorando al passaggio dal MOA in vitro a quello vivo, il quale avrà la caratteristica di sfruttare i segnali provenienti direttamente dal sistema nervoso centrale a differenza di altri approcci che invece sfruttano le terminazioni nervose periferiche. Inoltre stiamo studiando la realizzazione di sensori di pressione per applicazioni quali robotic skin ed epidermal electronics in genere”.

Alessandro Ligas

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