Lo psichiatra Alessandro Coni: “Sulla salute mentale siamo sulla strada giusta”

Nella sanità sarda, settore della salute mentale, ci sono certamente molte ombre ma anche tante luci: manca il personale, i finanziamenti sono meno di quanto dovrebbero (come ha denunciato di recente anche l’Asarp, l’associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica) e spesso c’è un generale senso di sfiducia verso medici e strutture. Eppure negli ultimi anni si è fatto tanto per sostenere le persone che soffrono: percorsi di riabilitazione individuali e di gruppo, progetti di residenzialità leggera, comunicazione e informazione, informatizzazione dei servizi. L’orizzonte per chi lavora con i disturbi della psiche non è così nero come sembra, e se anche non abbiamo raggiunto in pieno gli obiettivi della riforma sanitaria che da Franco Basaglia nel 1978 prese il nome con la legge 180, a quarant’anni dalla sua approvazione, forse siamo sulla strada giusta.

Alessandro Coni, psichiatra e direttore del dipartimento di salute mentale e dipendenze della Asl di Sanluri, ne è convinto: “Purtroppo sui media si racconta spesso quello che non va, i problemi e le mancanze. Invece nella sanità sarda abbiamo anche esempi positivi e buone pratiche. C’è una maggior attenzione agli aspetti terapeutico-riabilitativi, le famiglie sono sempre più coinvolte nei progetti di cura come dimostra la diffusione degli interventi di terapia multifamiliare. C’è ancora tanto da fare, ma i numeri e i risultati dicono che la via intrapresa è quella giusta. Nella zona di Sanluri, ad esempio, rispetto a sette anni fa abbiamo ridotto di un quarto le persone ospiti nelle comunità terapeutiche e abbiamo dimesso per fine trattamento 45 persone; molte di queste vivono autonomamente con un supporto dei servizi. Un buon risultato, se pensiamo che il nostro obiettivo è quello di offrire opportunità e prospettive di cura e guarigione soprattutto nelle comunità di appartenenza”.

Parlando di numeri, conosciamo poco la realtà sarda, se non incrociando i documenti di Ministero della Salute, Aifa e Istituto superiore di Sanità che comunque non sono aggiornati: il sistema di raccolta dati informatizzato è stato avviato solo quest’anno e avremo le cifre precise dal 2019. Impossibile dunque capire l’andamento degli ultimi anni e ragionare sui dati. Un lavoro, quello del censimento, importante e prezioso per capire quante persone chiedono aiuto ai Csm, i centri di salute mentale, che si tratti di disagi temporanei o patologie gravi. Di certo gli esperti hanno notato negli ultimi anni un aumento delle richieste di aiuto: “Viviamo in un momento storico di crisi, in cui la fragilità umana diventa sintomo con più facilità che in passato – ha sottolineato Coni – non ho statistiche, me lo dice la mia esperienza: fino a qualche tempo fa si contavano meno persone che si rivolgevano ai centri. E non ci sono solo numeri in aumento ma anche patologie nuove come le ludopatie e le nuove dipendenze che hanno reso i quadri psichiatrici più complicati”.

E a quarant’anni dalla legge Basaglia, che ha previsto la chiusura progressiva dei manicomi e un cambiamento nel rapporto tra medici e pazienti, una riflessione sullo stato della salute mentale in Italia e Sardegna è d’obbligo. A partire dalle spese: il Progetto Obiettivo sulla Tutela della salute mentale, documento programmatico emanato nel 1994 con Decreto del Presidente della Repubblica per attuare la riforma, aveva previsto che ogni regione investisse almeno il 5% della spesa sanitaria nella salute mentale. In Sardegna siamo fermi alla metà, il 2,6%. I Dipartimenti per la Salute mentale, uffici regionali del Ministero, non  hanno autonomia finanziaria. C’è poi la questione della carenza di personale: in un settore dove fondamentale è la competenza e la cultura di medici, assistenti, psicologi e operatori vari l’assenza di professionalità è un problema grande.

Eppure ci sono anche tante novità che fanno ben sperare per il futuro: “La Sardegna in linea con la legge 180 ha una psichiatria diffusa nel territorio: secondo il piano nazionale dovremmo avere 15 Csm, ne abbiamo invece 15 in 24 sedi e abbiamo quasi 40 ambulatori periferici nelle sedi disagiate, da Carloforte a La Maddalena. Oggi si ha una mappatura dettagliata dell’offerta di residenzialità, sappiamo che le comunità terapeutiche accolgono 465 persone e per ognuna c’è un progetto terapeutico personalizzato. C’è poi un bando recente della Ats che ha previsto l’assunzione di personale da impiegare nel supporto all’abitare. Infine, se anche gli investimenti non sono ancora sufficienti, non dimentichiamo che sono attivi laboratori teatrali, di musicoterapia, terapie di gruppo. C’è un campionato di calcio che coinvolge 10 centri, la montagna terapia che coinvolge 8 Csm. E il progetto ‘Sentieri di libertà’ (qui il racconto per Sardinia Post)”.

La riforma Basaglia con il superamento dei manicomi per chi soffre è dunque realizzata? “Il manicomio come struttura fisica e organizzativa non esiste più, ma resistono i processi psicologici che lo hanno determinato e sui quali dobbiamo continuamente riflettere se vogliamo evitare che torni sotto altre forme. Dobbiamo evitare che le comunità terapeutiche e i centri di salute mentale, nati dal movimento di riforma, possano divenire luoghi nei quali proiettare e rinchiudere la follia. Un antidoto importante a questo pericolo è costituito dalle buone pratiche che vedono le comunità locali come luogo per i percorsi di cura e guarigione”.

Francesca Mulas

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