Geoparco, il libro nero: la Regione paga anche gli utili della società privata

Sotto la lente l’Ati Ifras, l’associazione temporanea d’imprese che nel 2001 ha sottoscritto una convenzione con la Regione per bonificare i siti minerari del Sulcis.

È il libretto nero dell’Ati Ifras, l’associazione temporanea d’imprese che il 21 dicembre 2001, all’interno del Geoparco, venne incaricata dalla Regione di gestire il recupero e la bonifica dei siti minerari nel Sulcis. Non ci fu gara d’appalto. Si seguì la strada dell’affidamento diretto con la firma di una convenzione. A distanza di quindici anni, su quell’intesa, rinnovata due volte, si scoprono diseconomie e irregolarità, scritte in un mazzetto di sedici fogli consegnato il 20 ottobre scorso ai consiglieri del centrosinistra. Il report l’ha firmato l’assessorato al Lavoro guidato da Virginia Mura: perché l’Ati Ifras nacque proprio per dare occupazione.

L’associazione temporanea d’imprese mette insieme tre, tutte srl: nel 2001 vennero individuate dal ministero del Lavoro “per assumere a tempo indeterminato il personale impiegato nei lavori socialmente utili”, si legge. Ecco quindi la capofila Ifras, più la Intini e la Servizi globali (queste ultime due di Bari). In quindici anni, secondo i calcoli dell’assessorato, le tre srl “hanno incassato oltre 350 milioni, con un costo medio annuo di 28”.

E qui spunta quello che nel report viene indicata come il primo “rilievo problematico”. Il riferimento è alle spese generali e agli utili d’impresa” che nell’Ati hanno inciso “nella misura del 35 per cento sul costo complessivo dell’attività”. La somma delle due voci è stata pari dieci milioni annui sui 28 totali assegnati alle tre srl. L’incidenza dei soli ricavi risulta stimata nella misura del 15 per cento.

Ai 28 milioni complessivi si arriva mettendo insieme anche “i 15 di costo per il personale e i tre di spese connessi agli stessi lavoratori”. Sul punto la posizione dell’assessorato al Lavoro è durissima: è rilevata “una significativa inadeguatezza delle forme di garanzia prestata a favore della Regione autonoma della Sardegna a tutela degli eventuali adempimenti contrattuali”. In particolare si segnala “la mancanza di progetti e piani dettagli sulle attività da svolgere”, così come l’assenza “della direzione lavori e dell’assistenza in cantiere”. Dito puntato anche contro “la contabilità delle opere eseguite, non fornita in maniera dettagliata”.

Poi ecco il capitolo sulla pianta organica. In teoria l’Ati Ifras si sarebbe dovuta limitare ad assumere i lavoratori socialmente utili. In totale, 353. Invece oggi se ne contano 502. Perché “fuori dalla normativa prevista – è scritto ancora nel report dell’assessorato – ci sono 103 dipendenti assunti tramite diversi accordi”. Irregolari appunto. Nel dettaglio “50 sono gli ex dipendenti della Rockwool“, la multinazionale che a Iglesias produceva materiali edili. Assorbiti pure “i 16 licenziati dall‘Italcementi”. Si contano ancora, sempre stando alle carte dell’assessorato, altre “37 assunzioni” frutto di non precisati “accordi di programma“. A quota 502 si arriva con i contratti fatti autonomamente dalla stessa Ati Ifras e pari ad altre 46 buste paga.

Il caso dell’Ati è scoppiato ieri in Consiglio regionale, quando l’Aula ha dovuto fare marcia indietro sulla leggina del 29 novembre scorso, la ribattezzata norma salva-Geoparco: prevedeva la proroga della convenzione con la Regione per un altro anno. Ma il Dg dell’assessorato al Lavoro, Eugenio Annicchiarico, si è opposto. E adesso si capisce il perché.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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