Carcere di Uta. 3/2 C’è una geografia: nei piani alti i detenuti ‘bravi’

VIDEO. Quattro piani e una geografia della sicurezza dal sapore manicheo. I ‘cattivi’ sono reclusi dove c’è vista sull’esterno.

Quattro piani e una geografia della sicurezza che richiama la divisione manichea tra buoni e cattivi: nel nuovo carcere di Uta non è casuale che all’ultimo piano, con vista sull’esterno, quindi oltre le mura del penitenziario, ci siano le celle del cosiddetto trattamento avanzato. Lì vivono i condannati considerati ‘recuperati’, quelli di cui l’amministrazione penitenziaria si ‘fida’, sino a pensare che mai passeranno informazioni su quanto possono vedere. In base a ragioni logistiche è stato invece organizzato il piano terra che ospita cucina, lavanderia e biblioteca, dove ci lavorano i detenuti premiati attraverso un impiego interno. In gergo vengono definiti sconsegnati (anche loro sono condannati con sentenza passata in giudicato).

Spiega tutto Alessandra Uscidda, il comandante degli agenti penitenziari che, insieme al direttore Gianfranco Pala, ha deciso l’organizzazione dell’istituto (qui l’intervista completa al capo dei poliziotti). “Siamo stati facilitati – dice – dalla recente costruzione della struttura, progettata e realizzata tenendo conto delle nuove esigenze educative sancite dalla riforma del ’75”. Tanto che a Uta è applicata “la sorveglianza dinamica, con spazi comuni aperti per una buona parte della giornata”.

Il piano terra di Uta si chiama Sant’Antioco e può essere considerato il quartier generale del lavoro interno. “Al momento – continua il comandante – la lavanderia si occupa solo delle lenzuola e delle coperte fornite gratuitamente dall’amministrazione penitenziaria, ma non tarderemo a ricevere commesse esterne”.

Gli sconsegnati di Uta sono 39. Lavorano sino a un massimo di nove ore quotidiane e hanno un giorno libero a settimana. “Da una sentenza della Corte Costituzionale – ricorda la Uscidda – sono stati equiparati a qualunque altro occupato in condizioni di libertà”. Resta il fatto che, concluso il turno, scatta per loro l’obbligo di tornare in cella. Ora limite: le 20.

Meglio dei sconsegnati vivono i 22 ex articolo 21, cioè i detenuti che hanno un impiego all’esterno. Ma a Uta ci sono pure tre semiliberi. Risiedono tutti in una struttura a due piani costruita oltre il muro di cinta e chiamata Carloforte. “Per ovvie ragioni – chiarisce il comandante – sia gli ex articolo 21 che i semiliberi non hanno alcun contatto col resto della popolazione carceraria”.

Dal 1° al 4° piano – e ciascuno è diviso in sezioni – ci sono le aree strettamente detentive, a seconda del reato commesso e della situazione giudiziaria. Cioè imputati o condannati. I piani sono intitolati ai quattro Giudicati della Sardegna. “Nell’Isola – precisa la Uscidda – il carcere di Uta è il solo che ha fatto questa scelta identitaria”.

Il 1° piano è stato ribattezzato Cagliari. Ospita anche il reparto degenze dell’ospedale interno, ugualmente aperto al lavoro degli sconsegnati. “Rispetto al percorso riabilitativo – continua il comandante – l’avanzamento è basico”. La revisione critica, cioè l’ammissione delle proprie responsabilità, non è avvenuta o è appena agli inizi. Anche questo piano è riservato ai condannati. “La sezione A e la C – va avanti il capo degli agenti – sono aperte, la B invece è chiusa e ospita detenuti sottoposti a particolari misure restrittive”. La sezione A è comunque considerata privilegiata, visto che offre la vista sul cortile.

Il 2° piano è l’Arborea. “Accoglie i detenuti imputati“, prosegue la Uscidda. Non a caso qui c’è anche il poliambulatorio, “dove vengono visitati tutti i nuovi giunti”.

Il 3° piano è il Torres. “La risposta al trattamento educativo – spiega il comandante – rappresenta un livello intermedio tra i detenuti del 1° piano e quelli del 4°. Possiamo dire che la revisione critica è in atto, con precise assunzioni di responsabilità, almeno per i detenuti nelle sezioni A e C”. Questo si traduce anche “nella maggiore vita sociale organizzata all’interno, per restituire il senso della comunità”.

A proposito di sezioni, la B del 3° piano ospita i cosiddetti “protetti promiscui“, ovvero i condannati in via definitiva per reati sessuali (sex offender) o gli ex appartenenti alle forze dell’ordine, ma anche gli informatori di giustizia. “Per questi detenuti lo stare al 3° piano non è un fatto relazionabile col percorso di revisione critica”, sottolinea la Uscidda. Specie per i pedofili, non è una leggenda metropolitana che “vengano considerati degli infami dal resto della popolazione carceraria”. Per questo “vivono in una sezione protetta che ha spazi comuni al proprio interno, ma è totalmente separata dal resto”.

Il e ultimo piano è il “reparto del trattamento avanzato. Si chiama Gallura. “Con questi detenuti – conclude la Uscidda -, gli educatori ricostruiscono il senso della collettività, e non più solo a quello della comunità. In questo piano si prepara a una nuova quotidianità. Nella fase immediatamente successiva sarà concesso un lavoro esterno o anche la semilibertà”.

Tutti i detenuti, a prescindere dal piano in cui vivono, hanno una scheda ricaricabile per le telefonate ai numeri autorizzati dall’amministrazione penitenziario, numeri che vengono memorizzati in un chip magnetico. Il tempo delle chiamate non può superare i dieci minuti a settimana.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

Guarda l’intervista-video al comandante.

LEGGI ANCHE LE PRECEDENTI PUNTATE DELL’INCHIESTA:

Intervista al direttore Gianfranco Pala. “Suicidi e autolesionismo? Solo dimostrativi”.

– Parlano i detenuti Paolo Pietro Campus, Dante Lancioni, William Muscas ed Elton Ziri.

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