Maricoltura, un’occasione sospesa. Nell’Isola manca “il piano di gestione”

Per i sardi il mare è sempre stato una risorsa, ma a piccole dosi. Non è vero che per secoli se ne sono allontanati, eppure la Sardegna non è mai riuscita a far emergere tutte quelle potenzialità economiche che il mare e le sue coste potrebbero esprimere. Ne è convinta anche l’Unione Europea. Ma le istituzioni locali dovrebbero fare la loro parte, ossia una sorta di “piano di gestione dello spazio marittimo”, la carta vocazionale sulla maricoltura. La Sardegna è una delle tre regioni che ancora non si è dotata di questo strumento.

Pianificazione dello spazio marittimo. La Sardegna, come le altre regioni italiane, oggi ha l’opportunità di rilanciare le economie marittime, lo sviluppo sostenibile delle zone e delle risorse marine, preservandone l’ambiente attraverso una pianificazione dello spazio marittimo. Un settore che potrebbe ricevere nuovo slancio e linfa vitale. È partendo da questi presupposti che nei giorni scorsi il capogruppo Udc in Consiglio regionale Gianluigi Rubiu con una mozione ha ricordato: ”La Sardegna è il fanalino di coda nell’istituzione della carta vocazionale sulla maricoltura. Da ormai quattro mesi stiamo sollecitando l’approvazione di un quadro di pianificazione delle aree marine, in base al decreto legislativo 201 dello scorso ottobre – sottolinea l’esponente centrista -. Una norma che stabilisce l’obbligo delle Regioni di dotarsi di uno strumento atto a prefissare i progetti nei siti rivieraschi”.

Il piano regolatore del mare. Insomma quello che dovrebbe scaturire dall’applicazione del decreto legislativo è un vero e proprio piano regolatore del mare “attuato attraverso l’elaborazione di piani di gestione”, si legge nel decreto, delle varie attività legate al mare, che possono includere l’acquacoltura, la pesca, il trasporto marittimo e la ricerca scientifica, il turismo, il patrimonio culturale sommerso, per arrivare alle zone protette per la conservazione di siti e specie naturali. ”Con le aree vocazionali – sottolinea Rubiu -, si avrebbero nuovi margini di competitività per le aziende ittiche, con sbocchi commerciali e occupazionali, oltre alla maggiore attrazione delle produzioni connesse alla pesca isolana. Si stima che attraverso questo intervento, ci potrebbero essere almeno 600 nuovi posti di lavoro, con il settore delle marinerie che diventerebbe strategico anche per la nostra Isola, dove invece regna l’immobilismo”.

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L’impegno del Consorzio Biotecnomares. ”Secondo il decreto legislativo le Regioni devono pianificare gli spazi marittimi, attraverso l’Autorità portuale, che materialmente dovrebbe predisporre i progetti – sottolinea la ricercatrice Daniela Cacciuto, presidente del Consorzio Biotecnomares di Cagliari-. Purtroppo la nostra Regione non ha ancora provveduto a nominare neppure la nuova Autorità portuale. Pertanto la pianificazione resta al palo. Su 20 regioni italiane solo 3 non hanno ancora provveduto. Una di queste è la Sardegna”.

Il distretto del tonno. ”Da alcuni anni stiamo chiedendo il riconoscimento ufficiale del distretto del tonno – precisa ancora Cacciuto -, secondo una legge regionale approvata fin dall’agosto 2014 con il varo dei decreti attuativi di competenza della Giunta. Una soluzione che permetterebbe il rilancio delle tonnare, a condizione però che la Regione rilasci le concessioni. Intanto è in fase avanzata il progetto per la costruzione, nella zona di Portoscuso, del centro di stabulazione del tonno rosso, cioè l’allevamento dei piccoli avannotti, a cui sarà affiancato un centro di ricerche. Solo, però, con l’avvio del distretto del tonno e dell’intera filiera, si potranno aumentare le quote. Anche attraverso le nostre tecnologie di ultima generazione con le gabbie sommerse. Negli impianti che andremo a realizzare nell’area di Portoscuso, è previsto anche l’unico allevamento in Italia di crostacei e gamberi. Ma per contrastare l’avanzata della grande distribuzione – conclude Cacciuto -, è necessario creare una “rete” fra gli allevatori ittici perché le multinazionali straniere hanno già messo una seria ipoteca sugli impianti della Sardegna. Sono solo cinque gli impianti sardi: Olbia, Alghero, Orosei, Golfo Aranci e Calasetta, troppo pochi per le potenzialità dell’isola”.

Le prospettive. ”Con l’istituzione della carta vocazionale – precisa il capogruppo Udc Rubiu – si potrebbero costruire oltre un centinaio di nuovi impianti di acquacoltura che, in alcune zone della Sardegna, come il Sulcis, potrebbero dare risposte importanti in termini occupazionali. Il provvedimento deve essere approvato entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto. Le altre regioni lo hanno già fatto. Esistono perfino anche i bandi. Occorre far presto per non perdere un’altra grande occasione”.

Carlo Martinelli

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