I numeri impietosi della Caritas: 176mila famiglie sarde sono povere

Vittime della crisi e della miseria: 176 mila famiglia sarde vivono oggi in condizioni di povertà relativa, cioè chiedono aiuto alla Caritas per mangiare o pagare tasse e bollette. Ci sono poi i poveri “cronici”, ma anche quelli “inattesi”: nella lista single, separati, precari, cassaintegrati, commercianti e piccoli imprenditori. I quarantenni continuano a essere i più fragili. E la maggior parte delle persone che si rivolgono alla Caritas vive con i propri familiari.

Sono questi alcuni dei punti cruciali delle situazioni di disagio rilevati dall’Istat e dai Centri di ascolto delle Caritas. I dati si riferiscono ai numeri registrati nelle Diocesi di Ales-Terralba, Alghero-Bosa, Cagliari, Iglesias, Oristano, Ozieri, Sassari e Tempio-Ampurias. Il report è stato presentato questa mattina a Cagliari. “La crisi – ha detto don Marco Lai, presidente regionale – non diminuisce, anzi si accentua sino a far diventare la Sardegna fanalino di coda”.

Nel 2013 le registrazioni di richieste di aiuto sono state 33.656 contro le 24.296 dell’anno precedente. Una mappa in continua evoluzione: le persone che per la prima volta si sono rivolte ai Centri nel 2013 (sono state 6.221 contro 6mila del 2012) non sono più in modo preponderante di sesso femminile (quest’anno la percentuale delle donne è scesa al 49,5 per cento). Alla classe dei 40-44enni è associato il maggior numero di persone ascoltate: il 66 per cento e si stratta di sardi che non possono fare a meno di farsi aiutare anche dalla famiglia e dai parenti, soprattutto per garantirsi un tetto e un pasto. Poco meno di un quinto, invece, abita da solo.

La crisi sta travolgendo meno le persone più istruite: l’82 per cento dei per cento di coloro che hanno lanciato un sos alla Caritas hanno infatti un livello di istruzione basso o medio basso. C’è chi non ha conseguito nemmeno un titolo di studio o è analfabeta.

Il problema che alimenta la povertà è il lavoro che non c’è: la maggioranza delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto (59,4 per cento) è senza occupazione. “Welfare – ha detto monsignor Arrigo Miglio, presidente della Conferenza episcopale sarda e arcivescovo di Cagliari – sarà una parola sempre più importante. Ma deve essere intesa in maniera meno assistenziale è più promozionale. Sarebbe importante offrire anche un lavoro a chi ha bisogno. Magari con un progetto che coinvolga ambiente, agroalimentare e turismo”.

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