Economia sarda in chiaroscuro: redditi bassi e poca istruzione, bene il turismo

È ancora in chiaroscuro il quadro economico della Sardegna, secondo l’analisi effettuata dal Crenos (Centro ricerche economiche nord sud) nel tradizionale rapporto annuale giunto alla 23ma edizione. Seppure la situazione dell’Isola appaia più incoraggiante rispetto al resto del Mezzogiorno, con una contrazione del Pil meno pesante (-1,1% Sardegna; 1,4 Italia), rispetto al quinquennio 2010-2014 (-1,4% Sardegna e -1,7% Italia) con un allentamento della morsa della recessione, questo dato non consente – osservano i ricercatori universitari – di annunciare la tanto attesa ripresa economica. L’Isola è tra le 70 regioni Ue più povere (206 su 276) con un reddito per abitante pari al 72% di quello medio, come la Grecia.

Diversi i fattori che frenano lo sviluppo: in primis i bassi livelli di istruzione e formazione (solo il 17,4% delle persone tra i 30 e i 34 anni ha conseguito una laurea rispetto all’obiettivo europeo del 40% mentre il tasso di dispersione scolastica è del 23,5% rispetto al 10% che “chiede” l’Ue e gli adulti impegnati in formazione sono al 10,7% rispetto al 15% di obiettivo Ue), le piccole dimensioni delle imprese (2,8 addetti per azienda; 142.578 imprese operanti nel 2015 pari a 85,9 imprese ogni mille abitanti)e le poche risorse destinate, soprattutto dai privati, agli investimenti in innovazione e ricerca (lo 0,76 del Pil rispetto all’obiettivo europeo del 3% con la spesa del settore privato che copre appena il 5,9% del totale.

Le “buone notizie” arrivano dal turismo, perchè nel 2015 continua a crescere il numero degli arrivi (9,2%) e delle presenze (9,1%) e riprende la crescita della componente straniera delle presenze con il +9,9% rispetto al l’8,4% della componente nazionale. Bene anche l’export con un +3,2 % trainato dalla raffinazione del petrolio (con un incidenza pari all’83,4% del totale dell’export), dai metalli (3,2% sul totale) e dagli alimentari e bevande (come il vino) con il 3,1% del totale (con una crescita però del 13,4%). L’agricoltura non esprime ancora appieno il suo potenziale contribuendo poco alla creazione di valore aggiunto con meno del 5%.

Crenos però bacchetta albergatori e gestori degli aeroporti. Dipendenza dal traffico nazionale e quasi esclusivo dalle low cost, carenza di pacchetti vacanza omnicomprensivi, poche relazioni fra tour operator e albergatori sardi che soffrono di eccessiva frammentazione e che hanno una dimensione troppo piccola ed infine, forte decentramento della governance degli aeroporti di Alghero, Cagliari e Olbia, con tre società di gestione che hanno poco peso contrattuale e limitano le attività promozionali e di marketing. Sono questi i limiti del sistema aeroportuale sardo individuati dal Rapporto Crenos 2016. Secondo i ricercatori, che hanno analizzato i dati delle Civil Aviation Authority della Gran Bretagna tra il 1996 e il 2012 confrontando il traffico passeggeri verso la Sardegna, la Corsica, la Sicilia e le Baleari, nel periodo osservato il sistema aeroportuale e turistico, oltre che istituzionale, ha prodotto una “scarsa reattività alle mutate condizioni di mercato. Un simile fenomeno parrebbe caratterizzare la recente crisi ad Alghero”.

Inoltre “rimane il fatto che se è vero che gli albergatori sardi non vogliono dipendere dal flusso di clienti generato dai tour operator, forse a causa dei bassi margini garantiti, di fatto negli ultimi 10 anni il tasso di riempimento delle loro strutture è in gran parte dipeso dal flusso di turisti stranieri creato dal traffico aereo delle compagnie low cost, traffico che adesso tende a diminuire senza che le strutture ricettive abbiano operato adeguate strategie alternative per lo sviluppo e il mantenimento di flussi adeguati. Da un altro lato – si legge ancora nel Rapporto Crenos – è purtroppo molto probabile che il mercato della ricettività sarda non sia adeguato per il tipo di prodotti offerti dai grandi tour operator stranieri”. Altra “pecca” del sistema ricettivo è la “scarsa offerta sul territorio di attività sportive di qualità come golf, trekking, fitness, ecc.)”, che insieme all'”enfasi del prodotto turistico sardo data dagli elementi Sole-Sabbia-Mare potrebbero non rispecchiare le aspettative di vacanza di molti turisti nord-europei, rendendo più difficile per i tour operator progettare pacchetti vendibili sul mercato”.

Luci e ombre anche sul mercato del lavoro dove il Crenos conferma i dati positivi già emerso a gennaio: il tasso di attività e quello di occupazione nel 2015 crescono rispettivamente dell’1,7% e del 3,3%, mentre diminuisce del 6,8% sino a toccare quota 17,4% il tasso di disoccupazione. Il Jobs act ha fatto sentire i suoi effetti anche nell’Isola e dopo un saldo netto di occupati pari a 12 mila rapporti di lavoro in più con il +9% di assunzioni totali, ora si fanno i conti con la decontribuzione che ha prodotto a gennaio 2016 una riduzione del 45% delle assunzioni a tempo indeterminato mentre tra gennaio 2014 e gennaio 2015 sono cresciute del 12,9%.

La spesa sanitaria mostra “segnali preoccupanti, soprattutto alla luce delle politiche di contenimento decise dal Governo”. I dati analizzati sono quelli relativi al 2014 e da allora qualcosa è cambiato, ma il quadro disegnato non è dei migliori. Se in Italia la spesa è cresciuta dello 0,2%, in Sardegna raggiunge lo 0,8% pari a 1.944 euro per abitante e 3, 23 miliardi nel complesso del bilancio regionale. In tutto il Paese la riduzione della spesa pro capite si attesta sullo 0,6%, ma nell’Isola sale dello 0,5%portando il servizio sanitario regionale a destinare il 9,8% del Pil sardo dal settore sanitario rispetto al 6,8% in Italia. Secondo l’analisi del Crenos, la componente più importante della spesa sanitaria è rappresentata dai costi del personale con il 36,7% (contro il 31,5% in Italia), che è aumentata dello 0,5% mentre nel resto della Penisola scendeva del 2%. Nell’ultimo quinquennio aumentano del 3,3% le spese per l’acquisto di beni e servizi che rappresentano il 21,3% del totale (19,8% in Italia), mentre si ferma al 14,3% la spesa per le convenzioni con i privati (20,6% la media italiana) anche se negli ultimi cinque anni si è registrato un aumento del 2,5% rispetto allo 0,7% della media italiana. “Preoccupa l’andamento della spesa farmaceutica – dicono i ricercatori – che con un aumento del 3,3% ritorna ai livelli del 2011. La Sardegna presenta la seconda più alta incidenza fra le regioni italiane (18,7%), mentre in Italia incide per il 15,6%”.

 

 

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