“I Love My Selfie”, a Cagliari uno studio psicologico su immagine e narcisismo

Sguardo verso lo schermo, braccio innaturalmente allungato e pronto allo scatto, espressione stralunata: basta un click sul telefonino e il selfie è servito. Ma cosa si nasconde dietro la mania del nostro millennio, quella che ci spinge a fotografarci davanti al museo, al mare, sul campo da calcio, in palestra, con un drink in mano o una pizza appena sfornata, da soli o con gli amici basta che si condivida la nostra faccia in giro per la rete? Narcisismo, voglia di apparire o c’è qualcos’altro?

Questi e tanti altri spunti sul selfie, l’autoscatto da pubblicare in tempo reale o quasi sui social network, sono stati al centro di “I Love My Selfie“, progetto di ricerca sociale ideato dall’associazione culturale cagliaritana Puntila presentato ieri alla Biblioteca Universitaria di Cagliari. “Abbiamo esaminato più di duecento selfie che ci hanno inviato da Sardegna, Europa e anche dagli Stati Uniti – racconta Renato Troffa, docente di Psicologia della Comunicazione e Psicologia ambientale all’Università di Cagliari coinvolto nella ricerca – e abbiamo cercato di capire cosa le persone vogliono trasmettere quando pubblicano le loro immagini in rete. Il risultato non è ovviamente definitivo perché abbiamo studiato solo foto e non profili psicologici, tuttavia le risposte sono interessanti. C’è una grande differenza tra quello che le persone vogliono comunicare con il loro selfie e quello che invece i fruitori dei social network percepiscono realmente: da una parte c’è volontà di trasmettere emozioni positive o momenti felici, quello che si nota invece dalla parte di chi guarda è spesso solitudine e malinconia”.

Quando pubblichiamo il nostro autoritratto in vacanza o davanti all’ingresso di un museo è probabile che gli altri vedano solo espressioni annoiate o voglia di farci notare, raramente ci associano a una dimensione culturale. Tanti autoscatti davanti a statue, quadri famosi o monumenti ma di tutto questo arriva ben poco dall’altra parte dello schermo: le persone guardano noi e la nostra espressione, non ciò che realmente sentivamo o facevamo in quel momento.

“Narcisismo ed esibizionismo? Forse, di sicuro chi pubblica il proprio autoritratto sui social network – prosegue Troffa – lo fa seguendo la moda del momento con viso di tre quarti, ripresa dall’alto, posa sempre uguale. È come se ci esponessimo alla visione degli altri ma senza esporci veramente troppo: un conformismo che appiattisce tutto e relega il nostro esibizionismo alla riprova sociale, la tendenza a cercare sempre l’approvazione degli altri”. Il fenomeno dei selfie da postare subito in cerca di like ricorda la pop art: “La famosa ricerca del quarto d’ora di celebrità – commenta Roberto Murgia, medico cagliaritano, appassionato di fotografia e ideatore della pagina facebook ‘Hypstamatic Sardinia’ che conta oltre duemila iscritti – che stava dietro alla concezione artistica di Andy Warhol e alla sua Factory: arte nel senso di condivisione”.

Ma chi è il selfista-tipo? Ragazze, per la maggior parte, e giovani intorno ai 23 anni: la mania dell’autoscatto si ferma per ora agli under 30, ma sono parecchi anche gli adulti che non resistono a cercare approvazione sui social network pubblicando le loro foto. “Con questo progetto abbiamo raccolto oltre duecento selfie da tutto il mondo – sottolinea Elena Pau, attrice che ha dato vita all’associazione Puntila insieme a Carla Sulis e Barbara Ardau – ma è curioso che tra questi solo in venti ci hanno autorizzato a mostrare le loro immagini al pubblico”. Quando si tratta di mostrarsi a persone vere e sguardi reali non filtrati dallo schermo allora si ha paura di farsi vedere veramente. Come dire, esibizionisti e narcisisti si, ma solo su internet.

Francesca Mulas

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