LA RECENSIONE. “Silenzi e parole” di Marcias, prospettive allo specchio di frati e attivisti LGTB

¨È davvero curioso come Peter Marcias decida di aprire “Silenzi e parole” dal porto di Cagliari, quasi come se volesse accomiatarsi dal suo lavoro precedente, “La nostra quarantena” per intraprendere una nuova storia. Non più un racconto di mare, di stalli esistenziali e materiali; ma semmai di interni e di anime. Al centro ci sono due mondi sulla carta agli antipodi: quello dei Cappuccini dei convento di Sant’Ignazio e quello dell’associazione ARC che difende e promuove i diritti delle persone omosessuali e le “diversità di genere” in senso più ampio. Il regista li segue durante una serie di settimane mettendo a confronto da un lato i riti legati alla Quaresima dei frati, e dall’altro la preparazione della Queeresima, un’iniziativa culturale dei militanti LGBT del capoluogo sardo, che ha lo scopo di sensibilizzare i cittadini su temi legati all’omosessualità, alle malattie sessualmente trasmissibili, all’omofobia. Il montaggio alternato pedina questi universi così diversi attraverso un approccio per antitesi. Lo sguardo di Marcias si posa, infatti, sui frati in maniera quasi pudica, non inquadrandoli mai frontalmente ma di tre quarti, lasciando sempre aperta una piccola finestra sul mondo che li circonda; ne segue i ritmi lenti dei passi, della ritualità scarna dei gesti: la cenere posta in capo ai fedeli, l’apertura della chiesa, la preghiera in solitudine o insieme. Sullo sfondo, il loro lavoro verso i più deboli e chi è in difficoltà. I silenzi sono tanti, le parole quelle essenziali. Solo la preghiera ha maggior eco, più in latino che in italiano, come a voler rimarcare un attaccamento ad una religiosità antica e allo stesso tempo fuori dal tempo.

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Al contrario all’ARC le parole sono preponderanti e appassionate. Dietro ognuno dei partecipanti dell’associazione c’è la voglia di comunicare il loro operato e la loro azione civile. Per questo locandinamotivo i loro dialoghi concitati servono come motore all’operato che andranno a fare sul campo nelle scuole, in piazza e tra le vie del centro. Un modo diretto di porsi di fronte alle cose che viene mostrato con primi e primissimi piani e la camera frontale che fissa questi ragazzi durante gli incontri e li insegue fuori, nella vita di tutti i giorni, accompagnando alcuni di loro mentre visitano la madre in una casa di riposo, fanno due passi e si rilassano in spiaggia o mentre lavorano sulle pellicole della cineteca. Eppure, nonostante le divergenze, Peter Marcias ci spinge a riflettere sul fatto che queste realtà non siano molto distanti tra loro e che anzi ci siano più punti di contatto di quanto si possa immaginare. Perché oltre la superficie, emerge una visione comune che si rivolge al prossimo in una prospettiva inclusiva, dove a cadere per primi sono proprio i paraocchi dei pregiudizi, attraverso una conoscenza genuina e un aprirsi all’altro senza paura. Non è un caso che il punto di arrivo di tutto questo discorso, cinematograficamente parlando, sia rappresentato da due fiaccolate: quella del Venerdì Santo dei Cappuccini in cui si commemorano le sofferenze e l’uccisione di Gesù, e quella dell’ARC in cui si ricordano i tanti, tra omosessuali e transgender, perseguitati, torturati o trucidati in questi anni. Entrambi sono stati colpiti da odio insensato, entrambi sono stati ammazzati.

Il film, scritto e diretto da Peter Marcias, è distribuito da Cinecittà Luce ed è prodotto dalla Capetown srl di Camillo Esposito, in collaborazione con la Fondazione Sardegna Film Commission. È attualmente in sala al cinema Greenwich a Cagliari, l’11 e 18 aprile all’Ariston a Oristano e il 13 a Sassari al Teatro Civico. Sempre dal 13 sarà diffuso anche nella Penisola.

Francesco Bellu

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