LA RASSEGNA. Da Ottana a Sarroch la parabola del “sogno industriale sardo”

Lo chiamavano “la cattedrale del deserto” perché sin dalle origini il polo industriale di Ottana partiva già azzoppato. Lontano chilometri dai principali porti dell’Isola e senza infrastrutture degne di tale nome, venne creato per fermare lo spopolamento delle aree interne e per arginare ed eliminare la criminalità. Non diversamente dal precedente “Piano di Rinascita”, queste fabbriche nascevano in sostanza con una motivazione sociale ben precisa che la commissione parlamentare presieduta dal senatore Giuseppe Medici metteva bene in evidenza. “La criminalità caratteristica della Sardegna è propria del mondo pastorale che trova nella Barbagia il suo centro”; così si leggeva nei documenti allegati. La soluzione perciò fu quella di trasformare in maniera radicale il tessuto culturale di quell’area. Fu un trauma devastante. “Senza passare dal VIA” di Antonio Sanna e Umberto Siotto ne ricostruisce la parabola storica attraverso un documentario asciutto e molto accurato in cui filmati d’epoca, dati e interviste ai protagonisti di ieri e di oggi si alternano per delineare le vicende dell’avventura industriale ad Ottana.

Il film fa parte di una rassegna iniziata giovedì ed è stata promossa dall’insegnamento di Microbiologia agraria del corso di laurea in storica ottanaScienze e tecnologie agrarie del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, in collaborazione con l’Associazione studenti di Agraria e ha come titolo “Il futuro che ci riguarda”. Lo scopo, come ha ben evidenziato Marilena Budroni, docente di Microbiologia agraria, è quello di dare “degli strumenti ai ragazzi per capire cosa è successo in Sardegna in quel periodo per aiutarli a riflettere e a progettare al meglio il loro futuro”. È il valore e il “peso” della memoria a essere il filo conduttore di questa serie di lungometraggi che nelle settimane successive andranno a toccare Sarroch e il Sulcis, chiudendo il cerchio di quello che molti hanno definito il “sogno scellerato dell’industria sarda”. I due registi, che hanno lavorato anni per chiuderlo grazie anche all’aiuto dell’Isre di Nuoro e della Cineteca sarda, ci però tengono a precisare che non è “un processo, un puntare il dito, ma è un racconto che si muove seguendo le regole del giornalismo d’inchiesta”, per questo motivo il lavoro non è stato programmato a tavolino ma si è mano a mano evoluto sulla base di ciò che veniva girato. Un continuo work in progress in pratica.

Così vengono alla luce particolari che hanno dell’incredibile: le cifre proposte al momento dell’avvio dei lavori nel 1972 dal Consorzio di sviluppo della Sardegna centrale parlavano di ben 18 mila posti di lavoro. Nel giro di pochissimi anni però le previsioni furono totalmente disattese perché gli operai coinvolti arrivarono a mala pena a 3 mila solo nelle aziende principali come Eni o Enichem; mentre altre, come la Salcim di Rovelli, patron della Sir, addirittura non vennero mai avviate, fagocitando però finanziamenti pubblici a pioggia. Così arrivarono i primi tentativi di serrata, i licenziamenti, le lotte per salvare il salvabile in termine di occupazione. Anche il salvagente del contratto d’area proposto da sindacati e imprenditori alla fine degli anni Novanta fu un flop perché nonostante i 178 milioni di euro posti in essere per creare 29 aziende non andò mai in porto. Così il polo di Ottana si svuotò: gli impianti si fermarono, i muri iniziarono col tempo a sgretolarsi, gli infissi a marcire. Rimase però qualcos’altro, molto meno palpabile, ma sicuramente più traumatizzante: l’inquinamento e le malattie. Il documentario si chiude infatti con le testimonianze di ex operai e di medici che raccontano come la presenza delle industrie abbia fatto aumentare sensibilmente i decessi per tumore e incrementato le patologie alle vie respiratorie. Un conto salatissimo da pagare che pesa come una spada di Damocle anche sulle prossime generazioni.

Francesco Bellu

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share