Il cinema indipendente muove i primi passi nelle sale sarde: esce “Treulababbu”

Parlare di cinema sardo – è vero – è ancora presto. La neonata ‘Sardegna Film Commission’ risponde all’esigenza, sempre crescente, di avere un organismo, a livello istituzionale, che intenda scoprire il linguaggio del cinema come momento di promozione, per i rari scenari e location naturali che l’isola offre. Gli esempi non mancano, a partire dall’Irish Film Board, in Irlanda, che ha finanziato film importanti di largo successo mondiale, ricordiamo tutti il William Wallace di Braveheart, interpretato e diretto da Mel Gibson, il quale ha agitato nelle fantasie degli irlandesi il loro giustificato spirito indipendentista.

Anche senza voler trovare il caso specifico, abbiamo tutti negli occhi l’immagine patriottica degli Stati Uniti, veicolata attraverso i suoi film, per una federazione estesa più del doppio dell’Europa. Così – date anche le molte richieste – anche in Sardegna si è scoperto come il cinema possa essere un faro per la lingua e la cultura. Un’industria culturale, dunque, in grado di creare economia e ritorno d’immagine positivo per l’Isola.

Certo in Sardegna siamo solo all’inizio. E i primi passi, forse, sono i più difficili, a maggior ragione se la strada è lunga e tortuosa. Ne sa qualcosa in questo periodo il giovane regista Simone Contu, alle prese con l’uscita del suo primo film, “Treulababbu”. Scritto in parte con lo sceneggiatore Bepi Vigna, che viene distribuito in sala in Sardegna nelle principali centri dell’isola fino al 20 Marzo.

Il suo è un film d’autore, diviso in due episodi, con tempi, linguaggi e registri diversi. Il trait d’union è la visione del mondo dei bambini, radicalmente differente da quella degli adulti. La particolarità del film sta nel fatto che il conflitto generazionale, paradigma universale, viene qui tradotto e declinato al sardo. Calato nella realtà inalterata della campagna sarda. Con le sue regole, le sue leggi, osservate da tutti, ma non scritte da nessuno. Sono proprio queste regole che stridono con quelle dei bambini. Ma per la Sardegna, sembra dire Contu, questo non è solo un conflitto generazionale, ma è anche un conflitto antropologico, che pare non essere stato ancora sanato.

Il rapporto libero tra fantasia ed educazione non è risolto nel primo episodio, per esempio, dal primo protagonista, il padre che intende educare il figlio, ma che alla fine gli si ribella, non trovando in lui risposte plausibili a semplici domande.

E questo rapporto non viene sanato neppure nel secondo episodio, tra il figlio di nonni sardi e i suoi genitori continentali trasferiti in Sardegna. Per il figlio appare più semplice l’integrazione, seppure provi a fuggire dalle rigide convenzioni del paese credendo alle fantasie (faulas) dei due impostori.

Realismo o fantasia che sia, il film di Contu dimostra – ancora una volta – quanto sia difficile per i sardi parlare di Sardegna. E quando questo pesi sulla tradizione nel rapporto educativo con i padri.

Il rapporto dei sardi con l’Isola, infatti, ora troppo legato a strette logiche personali, o di convivenza (spesso incomprensibili dall’esterno), non permette la giusta distanza tra animali, cose, natura e persone per poter essere narrato in forma lineare. In questo rientrano, per esempio, i caratteri felliniani presi in prestito dal regista, o altre influenze che non nasconde di tradire. Difficile, dunque, la scelta di uno specchio che in sé non restituisca un’immagine deforme.

Degne di nota le musiche di Francesco Veloci. Questa sera alle 21 il regista sarà al Mutiplex di Prato Sardo a Nuoro, dove incontrerà il pubblico con il giornalista Giacomo Mameli e il regista Salvatore Mereu.

Davide Fara

 

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