Fiona Barton a Gavoi: “Così ho smesso di usare le parole degli altri”

La vedova, il suo primo romanzo, l’ha scritto a 59 anni. E le è andata piuttosto bene: sono stati più di trenta i paesi che hanno fatto a gara per acquistarne i diritti prima ancora che il libro uscisse in libreria. Fiona Barton, giornalista americana, reporter dell’anno al National Press Award, occhi verdi, sorriso adolescente davanti al fiume di parole di Chiara Valerio, timoniera dell’incontro delle 19.30 in piazza Sant’Antiocru, un po’ si schernisce e dichiara: “Sono stata semplicemente fortunata”.

Il libro, un giallo psicologico di grande impatto definito imperdibile dal maestro del thriller Stephen King,  racconta di una bambina bellissima scomparsa mentre giocava nel suo giardino di casa. La Vedova, la protagonista della storia, è Jean, moglie di Glen Taylor, ex bancario accusato di pedopornografia e  sospettato di aver rapito la piccola. Scritto in prima persona, racconta lo strazio e il tormento di vivere accanto a un uomo che potrebbe essere un mostro. Racconta non solo l’ansia e l’angoscia di un rapimento, ma esplora i rapporti segreti che si instaurano in un matrimonio, racconta la storia di una donna forte “perché sono tante le donne forti che ho incontrato nella mia vita. Donne che hanno sofferto le pene più strazianti. E che mi hanno sempre impressionato e commosso per la loro tenacia, per l’abilità nell’affrontare gli eventi”.

L’incontro con la platea di Gavoi è incentrato sulla differenza tra il giornalismo e la scrittura di finzione. “Sono cresciuta nel mondo delle notizie e in quanto giornalista il mio compito era quello di portare all’attenzione dei lettori le informazioni nel modo più completo possibile. Poi con Internet tutto è cambiato. Agli inizi della rivoluzione tecnologica eravamo euforici, potevamo raggiungere chiunque, in qualsiasi momento, e in modo diretto e veloce. Eravamo felici. Ma come in ogni rivoluzione si corre il pericolo di buttare via le cose vecchie – magari buone – per quelle nuove che sono solo semplicemente nuove. Si è perso il contesto della notizia, è diventato più importante trasmettere i fatti nel modo più veloce possibile, che però significa anche minore controllo e maggior superficialità. Negli ultimi anni purtroppo assistiamo sempre più a un giornalismo di titoli e prime pagine”.

Ma chi è oggi un bravo giornalista e come lavora? “Uno dei consigli che mi sento di dare è quello di essere estremamente determinati, avere la capacità di continuare a fare le domande fino a quando quella risposta che aspettavi non arriva. Un bravo giornalista è una persona empatica e non totalmente obiettiva. Come fai a farti raccontare la vita di persone che magari hanno sofferto, che sono state torturate o hanno subito crimini di guerra se non comprendiamo quello che c’è dietro alle parole che usano, ai loro silenzi, alle loro omissioni. Bisogna fare attenzione a ciò che si intende per verità, è un concetto estremamente scivoloso, le narrazioni di uno stesso fatto possono essere estremamente diverse a seconda di chi le compie. E’ questa differenza di opinioni che rende il racconto più ricco, che aggiunge completezza e diversità. Per anni ho scritto e riportato le parole degli altri. Oggi che sono scrittrice preferisco davvero lavorare con le mie parole. E credo non tornerò più indietro”.

Donatella Percivale

 

 

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