Faenza, regista scomodo: “Non auguro a nessuno di fare questo mestiere”

Il regista Roberto Faenza, protagonista di una rassegna a lui dedicata svoltasi a Cagliari da fine gennaio a marzo – organizzata dalla Associazione “Alambicco” e dalla “Macchina Cinema” con il supporto della Regione Sardegna, del Comune di Elmas e della Società Umanitaria-Cineteca Sarda- è stato ospite a Cagliari per due giorni veramente intensi. Venerdì 17 marzo, ha incontrato il pubblico in occasione di una conversazione su una monografia dedicatagli da Ignazio Senatore (psichiatra e esperto di relazioni tra cinema e mente) con il direttore della Cineteca Sarda, Antonello Zanda. Faenza ha esordito, in quel contesto, affermando di essere un uomo “parco di parole”, in realtà, la serata lo ha visto vivacemente rispondere alle tante domande del pubblico con vena ironica e aneddotica, sempre interessante nelle riflessioni e spiritoso nelle battute. Il giorno successivo, invece, ci si è spostati al Teatro Comunale di Elmas, dove il regista è stato omaggiato da uno splendido concerto per piano solo di Romeo Scaccia, ancora una volta sorprendente nel suo inferire creativamente musica e immagini e, a conclusione della manifestazione, gli è stato consegnato un premio alla carriera assai meritato per un percorso cinematografico tra i più convincenti della contemporaneità. “Ma non vanno premiati i registi, che si occupano di esclusivamente di far convivere i contributi dei musicisti degli scenografi, degli attori…”

Dunque come definirebbe il suo mestiere?
Non auguro a nessuno di diventare regista. E’ un lavoro massacrante, sempre in costante lotta con situazioni e persone. Devi combattere per realizzare l’idea del film che vorresti girare e, magari, alla fine, ti ritrovi perplesso o insoddisfatto; devi lottare con la distribuzione, con le sale, un percorso masochista; ecco, forse, i registi possiedono una forte carica masochista.

Ma lei che ha lavorato sia negli USA sia in Italia, quali differenze potrebbe mettere in evidenza tra questi due approcci al cinema?
Negli Stati Uniti realizzare film non è più semplice, ma esiste sicuramente una maggiore libertà creativa. Il cinema italiano è legato, in questo momento storico, strettamente al potere politico, i finanziamenti arrivano soprattutto dalle televisioni, ovvero, a grandi linee, Mediaset e RAI, con tutte le conseguenze del caso, frenando le possibilità di essere dissacranti nei confronti della società o della classe dirigente. In America, durante l’epoca Bush, sono usciti lungometraggi contro Bush, quando c’era Nixon, opere contro Nixon e via elencando. In Italia questo è attualmente impossibile. Si immagina, se volessi, per assurdo, realizzare un film sul presidente Mattarella? Nessuno mi darebbe un soldo. Se è vero come negli USA il prodotto cinematografico deve essere anche fortemente spendibile, commerciale, nel nostro paese non si ritrovano più opere coraggiose, impegnate. Si producono così tante commedie e, spesso, non fanno neppure ridere.

In questo senso, i suoi primi film caustici, acuti, originali nella tecnica, sempre diretti contro il potere e il conformismo gli hanno riservato tanti problemi…
Dopo l’uscita, nel 1978, di Forza Italia, un documentario che, allora, colpì per la sua impostazione formale, la quale oggi potrebbe ricordare la metodologia di Blob, che, nonostante due mesi di successo, fu ritirato nei giorni del rapimento Moro, rimasi 18 anni senza girare in Italia, non dovevo neanche essere intervistato!

E il suo ultimo lungometraggio, “La verità sta in cielo”, sul caso di Emanuela Orlandi, ha avuto complicazioni nella sua realizzazione?
Intanto ci sono voluti cinque anni per arrivare a girarlo. RAI Cinema è stata fondamentale per il finanziamento, aveva accettato di buon grado la sceneggiatura. Quando, poi, ho mostrato ai dirigenti il film, sono saltati sulla sedia per il finale, che avevo mutato in corso d’opera, maggiormente feroce nei confronti del Vaticano. Dunque, ci sono voluti altri mesi per deciderne l’uscita e una certa critica ha evitato di discuterne seriamente.

“La verità sta in cielo” è una sceneggiatura originale, ma lei ha tratto molti suoi lavori da testi letterari…
In realtà, definirei il mio rapporto con la letteratura ‘occasionale’. Intanto, sono due mondi diversi: la letteratura produce l’immaginazione, il cinema ‘fa vedere’. Comunque a me interessano le storie. Non ho, infatti, un vissuto personale da mostrare sullo schermo, come, per esempio, accadeva con Fellini; faccio proprie le trame, appunto le storie. Peraltro, credo come la letteratura, negli ultimi trenta anni, sia stata profondamente influenzata dal cinema nella sua composizione, si vedano soprattutto i dialoghi di certi libri, profondamente cinematografici.
Elisabetta Randaccio

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