“Delitto alla Cattolica”, il nuovo libro di Gianni Marilotti tra noir e realtà

Il nuovo romanzo di Gianni Marilotti, Delitto alla Cattolica (Fratelli Frilli Editori, € 10,90) non è solo un affettuoso ricordo di una delle tante vittime dei crimini perpetrati nella storia nazionale che non hanno trovato giustizia. Propone un confronto tra la Milano che avvertiva i primi segni di crisi dopo gli anni del boom economico e quella attuale ancora attanagliata dalla crisi economica che da dieci anni ne frena le potenzialità, generando atteggiamenti egoistici e di chiusura.

Fin dal prologo questi elementi sono messi sul tavolo: la Milano borghese, l’ambrosianità, i fermenti sessantotteschi che non hanno risparmiato nemmeno quel sancta sanctorum della cultura meneghina, cioè l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove,  nel luglio del 1971 si consumò un delitto efferato ed assurdo. La giovane Simonetta Ferrero fu dilaniata da oltre quaranta colpi di coltello nei bagni femminili di quell’ Università. Un delitto non solo senza colpevole, ma quel che lascia sbigottiti, senza scopo, almeno nella ricostruzione degli inquirenti. Come se fosse accettabile che una persona potesse entrare nei bagni della sua università e incontrare il male assoluto.

Per anni, raccontano i testimoni che in quegli anni frequentavano l’università, le ragazze si sono fatte accompagnare ai bagni dai loro compagni, terrorizzate dall’idea che potesse succedere anche a loro quanto accaduto alla povera Ferrero. Uno psicodramma collettivo degno di una drammaturgia. Non per caso nell’esergo l’autore ci guida nella comprensione del romanzo con un illuminante giudizio di Benedetto Croce che considera le figure shakespeariane di Macbeth e Riccardo III al contempo due figure artistiche e materia della criminologia, ovvero della nascente scienza dei delitti.

I personaggi di questo romanzo sono tutti, in qualche modo, figure artistiche: lo è Lucrezia Vui, il cui passato incombe come una sentenza sulla sua vita; lo è Luciano Manardi, un visionario che incarna la sete di giustizia popolare; lo è Cristiano Vesce, il magistrato-filosofo che contrappone la saggezza contadina alla superficialità e vacuità dei rapporti umani nel milieu milanese; lo è Francesco Losanto, il vecchio editor in pensione, che verrà a capo di una storia intricata interrogando la materia che meglio conosce, vale a dire il libro.

Ed il libro è anch’esso un protagonista di questo romanzo: Lucidi delitti dà l’avvio alla storia, Intrecci proibiti rappresenta la svolta, Non sono innocente in qualche modo la chiude. Questa immersione nel mondo dei libri è il pretesto per entrare all’interno del mondo dell’editoria che diviene anch’esso protagonista di questo romanzo con i suoi attori tratteggiati in modo colorito e brillante ove l’autore coglie l’occasione per criticare sagacemente le dinamiche dell’odierno sistema editoriale.

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