Cyberpunk mon amour: Massimo Dall’Oglio, tra fantascienza e retini

Non c’è niente di meglio di una lunga estate calda per favorire la lettura e metterti in pari con gli arretrati. Capita quindi, rovistando tra le innumerevoli uscite in edicola e fumetteria, di cavare dal grande mucchio qualche piccola, piacevole sorpresa. Quest’estate è stata la volta di un numero del periodico della Sergio Bonelli Editore, il trentaquattresimo di Agenzia Alfa. Nel numero che ancora, faticosamente, si può recuperare in edicola, ci sono ben due storie disegnate da altrettanti disegnatori sardi: “Variazione di rotta”, con soggetto e sceneggiatura del milanese Giovanni Gualdoni e i disegni del selargino Mario Atzori e “Crimson”, scritto da Piero Fissore per i disegni del cagliaritano Massimo Dall’Oglio, con il quale abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

Quello di Dall’Oglio, classe ’73, è un nome oramai molto conosciuto nell’ambiente fumettistico, alle spalle una carriera iniziata nel ‘97 con la vittoria del “Pierlambicchi d’oro” come miglior giovane autore, a cui segue il primo vero esordio, “Angeli”, uscita su Comic Art su testi di Fattori. Contrariamente a molti suoi colleghi Massimo decide di autoprodurre il suo primo assolo, un fumetto di ambientazione cyberpunk (il grande amore letterario) intitolato “Donnel&Grace Blue lights”. L’albo, di 56 pagine, esce nel 2006 sotto l’etichetta Ideacomics (che include anche due ottime autrici sarde, Dany&Dany, anche loro alle prese con il fumetto d’esordio) e subito brilla come un diamante nell’asfittico panorama nazionale. La notevole cura della veste grafica produce un immediato piacevole impatto, impressione consolidata dalla lettura dell’albo. Da un’opera prima autoprodotta non ci si aspetta granché, è sufficiente intuirne le potenzialità, “Donnel&Grace” appartiene invece ad un’altra categoria. Dall’Oglio dimostra di essere immediatamente un professionista con le idee chiare, con uno stile proprio e una grande padronanza del mezzo. La storia è ben strutturata, i dialoghi non artificiosi e ottimamente calati nell’ambientazione cyberpunk. Il tratto, deciso, curato, sicuro, è segno di una forte personalità, infarcito di stilemi e richiami evidenti e voluti al manga giapponese. Otomo e Shirow, ma anche Okiura e Kawamori, character e mecha designer del film “Ghost in the shell”, sono evidentemente nel bagaglio artistico dell’autore ma, quello che impressiona maggiormente, e che diverrà un suo vero e proprio marchio di fabbrica, è l’utilizzo che fa del retino, metodo che lo appassiona parecchio ed una peculiarità che abbiamo deciso di discutere direttamente con lui.

Uno degli elementi distintivi del tuo disegno è un uso sapiente del retino, inserito nella pagina senza che questa ne venga appesantita, rallentando la lettura ed infastidendo il lettore.

“Tutto si riduce al capire quale sia l’uso che si deve fare del retino in una tavola a fumetti. Retinare significa colorare la tavola usando il bianco e nero. Non è semplicemente mettere luci e ombre, i giapponesi per primi hanno perfezionato questa tecnica per dare l’idea del colore dove non si poteva usare il colore, quindi creare contrasti tra le figure, proprio come si farebbe con il colore. La base del mio retino, sopratutto sulle tavole di Agenzia Alfa, è l’uso che ne fa Otomo, l’autore di Akira: semplice, senza esagerazioni ma con forti contrasti.”

Mi sembra di aver capito che realizzi al computer i tuoi retini, non più con i fogli trasferibili Letraset.

“Al giorno d’oggi il costo della retinatura tradizionale è difficilmente sostenibile nella realtà del fumetto italiano, nonostante retinare sia come colorare, spesso con difficoltà ancora maggiori, tempi di consegna e mercato ti impongono delle scelte obbligate. Io lavoro con Photoshop, creo i miei fogli retino in digitale e li applico come se usassi la tecnica tradizionale, li importo nella pagina, li ruoto, li posiziono e li ritaglio nello spazio giusto e poi gratto via il puntinato con una gomma digitale ad hoc. Un procedimento identico a quello che potrei fare con materiali tradizionali, infatti non ci si impiega meno tempo, ma si ha un costo decisamente inferiore.”

Il buon lavoro di “Donnell&Grace” non poteva che destare un forte interesse ed è questo biglietto da visita a metterlo in contato con il giovane scrittore Andrea Iovinelli che lo introduce ai francesi de Les Humanoides Associés. Per loro creano la serie Underskin, da noi pubblicata da Edizioni BD, opera che fa da apripista per il suo riconoscimento in patria. Un lavoro intenso, specie dal punto di vista professionale, perché realizzare trenta pagine di chine, matite, retino e copertina per ognuno dei quattro albi della miniserie, è un’impresa faticosa per un autore che non aveva ancora dovuto cimentarsi in un lavoro controllato da un editor. Il risultato è un’opera di indubbio valore e tavole che sono indice di una personalità decisa e di grande professionalità.

Hai lavorato sia in totale autonomia che in collaborazione con altri autori, parliamo di scrittori e sceneggiatori, come hai trovato le diverse esperienze.

“Chiaramente, lavorare sulle mie storie è molto stimolante perché ciò che vado a rappresentare è il mio mondo fantastico e non quello di un altro, come accade sulle sceneggiature non mie, lavorare su storie di altri, però, è il modo migliore per crescere professionalmente, in quanto si è costretti a superare i propri limiti, continuamente.”

La qualità di Underskin (nel frattempo rietichettato come Eidos) lo porta a lavorare su due storie della serie Jonathan Steele (Extra 1 e numero 53 della serie regolare) per i testi del suo creatore Federico Memola. Da li al John Doe dell’Eura Editoriale il passo è breve e si chiama Roberto Recchioni. L’attuale golden-boy della Sergio Bonelli Editore (SBE) gli affida anche lui due numeri (74 e 86) e lo porta in SBE, dove esordisce con il numero 4 di Orfani, la serie dello stesso Recchioni e Mammucari, per passare poi, nel 2013, ad Agenzia Alfa sotto l’ala di Antonio Serra, vero e proprio nume tutelare per Dall’Oglio. Nel frattempo disegna L’Era dei Titani (Edizioni BD, testi di Barone), fantascienza con robot giganti, un must per gli appassionati del genere che gli vale, nel 2010, il premio come Miglior disegnatore a Full Comics. Nel 2009 realizza l’adattamento a fumetti de Le Cronache del mondo emerso, dai libri di Licia Troisi (seconda stagione nel 2012) per i testi di Iovinelli, con il quale ha un ottimo feeling e con cui arriva in finale del Morning International Manga Competition della giapponese Kodansha con la storia Hermes. Ma il cyberpunk resta un amore viscerale, e l’autoproduzione su web un modo economico per continuare un personale percorso creativo, ecco quindi Sprawl (premiato come miglior fumetto digitale a Fullcomics 2012), un’entusiasmante piccolo gioiello. Ma nella sua carriera il 2012 è l’anno in cui collabora con Capcom e Glénat per la realizzazione di una storia a fumetti ispirata al videogame Lost Planet intitolata “Lost Planet – Prima colonia”, quella che, nonostante tutto, resta la sua storia più importante, quella di maggior visibilità, uscita insieme al terzo capitolo del videogame in anteprima mondiale, pubblicato in Francia, Stati Uniti e Italia.

Come nasce questo tuo segno abbastanza peculiare, con un’impronta di chiaro stile giapponese, un bianco e nero graficamente non usuale in un mercato italiano dominato dal realismo in stile Bonelli?

“Io non sono un amante del disegno puro, né un tuttologo del fumetto, a me piace il manga perché ha storie che mi coinvolgono completamente, ed ha anche un modo di raccontare le storie estremamente fluido e dinamico. Sono un amante delle storie e non del fumetto “disegnato” fine a se stesso ed è un caso che le storie che amo di più siano raccontate a fumetti, se le avessi trovate nel cinema probabilmente adesso cercherei di fare il regista. Studio e approfondisco il lavoro degli autori che mi piacciono e coinvolgono emotivamente, perché il mio obiettivo e riuscire a ricreare il medesimo coinvolgimento nei miei lettori. Quando trovo un manga che mi piace lo smonto vignetta per vignetta, lo studio momento per momento, per me è una cosa naturale, per questo io cambio spesso resa grafica. Il disegno della storia di Agenzia Alfa che sto realizzando ora, ad esempio, è frutto dei miei studi su Seraphim di Satoshi Kon e Mamoru Oshii, una storia ed uno stile di narrazione che mi ha molto colpito, una fantascienza avventurosa che ben si sposa con il mio lavoro sull’albo Bonelli.”

Quale è stato il fumetto che hai amato di più?

“Sicuramente il manga che mi ha dato il vero imprinting sul fumetto giapponese: Grey di Yoshihisa Tagami. Frequentavo ancora il liceo e fu amore a prima vista! Ricordo ancora che trascorsi settimane e mesi a ricopiarne fedelmente le tavole per scoprire come facesse l’autore a rendere delle immagini in sequenza tanto “vere, dinamiche e coinvolgenti”. Fu allora che decisi che sarei riuscito un giorno a raccontare qualcosa di mio in quella maniera perché… eh! Perché era tutto troppo bello e non potevo stare senza!”

Christian M. Scalas

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