Tomistoma caralitanus - Sardoa d-Library

Quando a Cagliari c’erano i coccodrilli: il Tomistoma caralitanus

“Nella prima vetrina che i visitatori dell’Esposizione incontravano nel vestibolo dell’Istituto geologico si ammirava la importantissima collezione dei fossili paleozoici della Sardegna… e nel piano inferiore di quella stessa vetrina figuravano alcuni massi di calcare con ossa di coccodrilliano… indicato col nome di Tomistoma Caralitanus” scriveva Giovanni Capellini parlando dell’Esposizione di reperti fossili organizzata in concomitanza  del secondo congresso internazionale di geologia, che si svolse a Bologna nel settembre del 1881.

Tra i pezzi forti della mostra, realizzata con lo scopo di far conoscere al pubblico e agli scienziati di tutto il mondo il progresso delle ricerche geologiche e paleontologiche nel neonato Stato italiano, c’era anche il coccodrilliano garialoide proveniente dalla Sardegna.

Si trattava dei resti del famoso coccodrillo fossile del miocene rinvenuti nel 1868 da Patrizio Gennari, “sopra il calcare… della collina di Cagliari e precisamente alla base di uno di quei monoliti, dei quali fa menzione il La Marmora e che nel paese venivano designati col nome di Is Meriones”.

Infatti, quando il gran masso calcareo venne minato per realizzare l’ampliamento della Piazza d’Armi, il coccodrillo miocenico, che si trovava da tempo immemorabile incastrato nei calcari del colle de Is Mirrionis, ricomparve dal sottosuolo, ma le forti esplosioni delle mine lo mandarono irrimediabilmente in frantumi.

Scrive Capellini a proposito del ritrovamento: “Le ossa furono rotte e in parte stritolate, importanti frammenti perduti forse tra i rottami o negletti dai raccoglitori. Le ossa rimaste per intero protette dalla dura roccia si conservarono benissimo e valsero a ricompensare la lunga fatica che occorse per cavarle fuori…

Sebbene sia da ritenere che nel Meriones della piazza d’armi di Cagliari vi si trovasse tutto o in gran parte lo scheletro del coccodrillo, pure tutto quanto ho cavato dalle pietre che mi furono inviate si limita, oltre al cranio, ad alcune vertebre e coste cervicali, diverse placche che ho potuto assai ben restaurare, avanzi di vertebre dorsali e lombari ed una caudale”.

Capellini, che era allora direttore dell’Istituto di geologia di Bologna, capì fin da subito l’importanza scientifica del rettile miocenico inviatogli dal Gennari. E infatti, lo scienziato di origine spezzina avrebbe voluto che l’Università di Cagliari cedesse il rettile al nascente museo felsineo. Tuttavia ottenne solo il permesso di trattenerlo, dopo l’esposizione, per motivi di studio, facendone eseguire un modello assai preciso che ancora oggi fa parte della collezione dei vertebrati fossili del Museo Geologico di Bologna.

Ciò che maggiormente impressiona nell’osservare il rettile sardo, probabilmente appartenuto al genere ormai estinto noto come Gavialosuchus, è la forma del cranio, che doveva essere lungo circa 80/90 centimetri, e i tanti denti, alcuni dei quali ancora ben conservati, che gli conferiscono la caratteristica “bocca tagliente” che ancora oggi contraddistingue il Tomistoma, coccodrillo tuttora vivente nel Sud Est asiatico.

I resti del fossile furono rispediti nel 1890 al Museo di Geologia e Paleontologia di Cagliari, dove attualmente si trovano, non troppo distanti dall’antico colle coi due monoliti detti Is Mirrionis, dei quali rimane solo il nome che oggi indica la via e il sottostante quartiere.

Certo che è difficile immaginare come poteva essere quella collina nell’Ottocento. Ma ancora più difficile è capire cosa ci facesse un coccodrillo in quella che oggi è chiamata Piazza d’Armi. Ad ogni modo, per quanto riguarda la prima curiosità è possibile farsi un’idea sfogliando la parte del Voyage en Sardaigne di Alberto La Marmora dedicata ai dintorni di Cagliari; per la seconda, invece, possiamo leggere alcuni passi scritti da Domenico Lovisato in occasione di un discorso d’inaugurazione dell’anno accademico.

Scriveva il geologo istriano a proposito del miocene sardo: “All’eruzione andesitica succede un periodo di calma, il mare invade nuovamente l’isola nostra… Avanzandosi sempre più quel mare miocenico va depositando un mantello uniforme di strati da Sud a Nord sui fianchi dei massicci sollevati… In quel mare mettevano sbocco dei fiumi sulle cui sponde vivevano non rari i coccodrilli, i cui resti si appalesano a noi oggi e nelle argille del Fangario e nella pietra cantone di San Michele e nel tramezzario di Piazza d’Armi…

Alla fine dell’Elveziano quel mare è ridotto nel suo dominio da un vero sollevamento delle masse montagnose…  Non tarda però quel mare a prosciugarsi lasciando dei semplici laghi o stagni ”. Prova dell’esistenza di questo mare sono anche i pescecani, i sireni, i delfini e le balene, i cui resti fossili vennero ritrovati “nel sistema collinesco di questa pittoresca città”.

Fu così che il miocene sardo, esattamente come aveva detto Capellini, cominciò a offrire ai paleontologi ottocenteschi “un corredo di vertebrati fossili da non temere il confronto con quelli dei più importanti giacimenti d’Europa”.

Molti di questi fossili, alcuni dei quali visibili sulla Sardoa d-Library, sono oggi custoditi presso i locali del Museo che porta il nome di Domenico Lovisato, il geologo sardo d’adozione che attraversò in lungo e in largo l’Isola per raccontare al mondo le vicende geologiche di una terra antichissima. Ma questa è tutta un’altra storia.

Carlo Mulas

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