Bray a Cala Gonone: “La cultura è il collante che ci fa riconoscere cittadini”

Abbiamo incontrato Massimo Bray, ospite in questi giorni del Cala Gonone Jazz 2016 (foto di Emanuela Bussu). Ex ministro dei Beni culturali nonché direttore generale della Treccani, Bray in queste ore è anche un papabile alla direzione del Salone del libro, al centro di una contesa tra Torino e Milano. “Mi hanno chiamato Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, e la neosindaca Chiara Appendino, per invitarmi a un incontro la settimana prossima. Ci vado con piacere per la passione che ho per i libri e perché lavoro in un luogo che da sempre ha la passione per i libri. Quello che so è che mi dispiacerebbe se Torino perdesse il Salone. Credo che sarebbe molto grave. Noi non ci possiamo permettere di penalizzare una città come Torino”. Al Cala Gonone jazz Bray è stato invitato a parlare di “Culture resistenti: i percorsi del bello”.

Massimo Bray, come si sta qui?

Il posto è bellissimo. La cosa che colpisce arrivando da Olbia è che c’è una natura in cui il paesaggio è stato rispettato. In cui ci sono alcune forme di bellezza caratteristica di questo luogo: colpiscono davvero chi arriva e non le conosce. Uno quindi immagina davvero che qui si potrebbe provare a lavorare alla definizione di un turismo consapevole delle bellezze di questo paesaggio. Immagino uno interessato ad un festival come questo che arrivando dall’estero, percorrendo questa strada, riesce a vedere il fiume che attraversa una gola con l’idea di poterla attraversare con le canoe; oppure in un mare così bello; o vedere alcune strade che attraversano una natura intatta. Questo è indubbiamente una grandissima peculiarità del paesaggio.

Ma non le sembra che ci si accorga della Sardegna solo d’estate?

Non lo so. Credo che ci stiamo tutti accorgendo che dobbiamo valorizzare nel modo migliore il paesaggio, non solo della Sardegna, ma di tutto il nostro Paese. Perché un turismo intelligente può essere sicuramente una fonte di sviluppo per il Paese, di occupazione. Il turismo può creare molta occupazione.

Politica e cultura, o politica è cultura?

Mi interesso da molti anni di cultura. Lavoro in luogo come la Treccani, nata più di novant’anni fa per difendere quelle che sono le identità culturali del nostro Paese. Preservare e tutelare la memoria dell’Italia: erano queste un po’ due delle principali caratteristiche volute da Giovanni Gentile quando fondò Treccani. Su questo tema, della tutela e della valorizzazione, dobbiamo lavorare molto. Tutti abbiamo capito che dobbiamo guardare ai beni culturali come una parte del nostro modo di essere comunità, di essere italiani. Così come ci indica la Costituzione, dobbiamo fare attenzione a saperlo tutelare un patrimonio così ricco, che nessun altro Paese nel mondo ha, anche in seguito ai riconoscimenti dell’Unesco. L’impressione che ho è che se c’è un grande interesse verso il desiderio di valorizzare il patrimonio, c’è purtroppo nelle classi dirigenti troppo spesso un disinteresse nell’applicare la giusta tutela. È come se avessimo un Paese spaccato in due. D’altronde ci sarà un motivo se la metà degli elettori non va a votare, e chi vota vota nel segno della protesta. Vuol dire che qualche cosa non va.

Secondo lei che cosa osta al fatto che si passi dalla teoria alla pratica? E che effettivamente si sviluppi la filiera dell’industria culturale nel nostro Paese?

Il primo richiamo che faccio è quello che ci invitano a fare i padri costituenti: che è quello della tutela. Per fare questo bisogna fare in modo che ci siano più risorse, quindi che le politiche di governo siano indirizzate realmente a fare in modo che questo patrimonio venga conservato. Patrimonio non è soltanto un museo, una chiesa, ma è un archivio, una biblioteca, sono tutti i luoghi di valore culturale che in qualche modo hanno creato questo nostro senso di appartenenza ad una comunità che si sa identificare in questo. C’è tutto il patrimonio immateriale che oggi è così tanto all’attenzione dell’Unesco e dobbiamo imparare a valorizzarlo. Il passaggio dalla teoria alla pratica sono le risorse che un ceto dirigente deve investire in questa tutela. Differente il discorso della valorizzazione, è un discorso che va fatto in maniera seria. Sono contrario quando si dice che questo patrimonio può essere il petrolio del nostro Paese, credo che la metafora sia sbagliata: il petrolio inquina, sporca. Il patrimonio va tutelato e valorizzato per dare modo anzitutto a noi italiani di capire che valore ha il senso di comunità. E sono appunto tutte le forme culturali che ci danno il senso di comunità. Stare qui a Cala Gonone e vedere tante persone, abitanti di questo posto, che si ritrovano a essere comunità intorno ad un evento musicale, credo sia una cosa molto importante. Come lo è vedere tanti stranieri che credo percepiscano questo forte senso di comunità che ha la sua espressione in un momento culturale.

Non è molto lontana nel tempo, però, la tristemente famosa affermazione dell’ex ministro all’Economia, Giulio Tremonti, che ‘la cultura non dà pane’. Secondo lei in che modo la cultura dà pane?

La cultura crea anzitutto il fatto che un grande storico dell’arte come Ernst Gombrich si divertiva a riconoscere i turisti italiani che andavano al British Museum, perché diceva che ‘nessuno come loro sa guardare un quadro, anche se non ha studiato storia dell’arte. Perché gli italiani sono abituati da secoli ad avere a che fare con il concetto di bellezza’. Questa è ricchezza di una comunità: perché le ricchezze non sono soltanto il denaro, ma sono appunto l’essere una comunità che si sa distinguere, riconoscere. I beni culturali creano, se sono ben valorizzati con intelligenza, un turismo che può portare ricchezza. Questo però non dev’essere un turismo di massa, ma un turismo consapevole del fatto che c’è una bellezza che va rispettata. Proprio oggi su un giornale nazionale si faceva vedere come intorno ad un’altro grande festival di jazz, nato qui in Sardegna, in Gallura, si sono costruiti una serie di itinerari per scoprire il valore enogastronomico di un territorio, oppure permettere di risiedere in forme di albergo diffuso. Tutto questo crea buona occupazione e crea sicuramente delle forme di crescita di un territorio.

Crescita e sviluppo, inoltre, che hanno bisogno di una programmazione che duri tutto l’anno.

Sicuramente. Si deve lavorare tutto l’anno. Si dice destagionalizzare il turismo e credo che il nostro paese ha tutte le caratteristiche per poterlo fare. Alcune regioni già lo fanno, ma sono anni che hanno affidato al binomio cultura e turismo la loro crescita, e credo che i risultati siano positivi. La Sardegna, dal mio punto di vista, è uno dei luoghi su cui si potrebbe fare una straordinaria sperimentazione. Penso anche agli itinerari che si possono creare intorno agli scrittori della Sardegna. Così come c’è stato un tentativo di farlo in Sicilia, che ha avuto successo: Camilleri, Sciascia, Pirandello. Si potrebbe fare anche in un luogo così importante come la Sardegna, per raccontare il territorio. Il territorio lo si può raccontare dai diversi punti di vista, i punti di vista privilegiati sono quelli degli scrittori. Si può raccontare nelle caratteristiche di un cibo che si prepara, o di alcune colture che sono sopravvissute, o che si sono recuperate, di alcuni vitigni ecc. Credo che tra l’altro questa forma di narrazione piaccia molto al turista straniero, perché capisce la caratteristica del nostro Paese. Per fare questo dovremmo essere tutti bravi a fare sistema, espressione forse oggi abusata, per bisogna fare in modo che le varie responsabilità che insistono nella pianificazione del turismo vengano messe realmente insieme. Unire i programmi significa arrivare al raggiungimento di alcuni obiettivi condivisi.

Cultura come una pianta, insomma: ha bisogno dell’acqua per essere alimentata?

Ha bisogno di tante cose: dell’acqua, dell’intelligenza, della creatività. In questi anni ho visto un Paese con moltissime giovani donne e giovani uomini che hanno voglia di credere nella cultura. A volte hanno proprio affidato alla cultura la speranza del proprio futuro. Quando in altri ambiti, invece, questa fiducia è venuta meno. Forse anche rispetto alla politica. La cultura può essere quel collante per tenere insieme e farci riconoscere noi cittadini in quelle tradizioni. In un futuro che rappresenta una storia importante.

Davide Fara

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