A Sassari per Giallonoir lo scrittore Pulixi e il suo “cuore nero”

Gli addii non sono mai semplici. Perché fisicamente e mentalmente bisogna rielaborare il distacco. Sono un lutto vero e proprio, una dipartita definitiva in cui quello che verrà in seguito ne è intimamente collegato. Questo vale sia per le persone reali, sia per quelle fittizie, quelle insomma fatte vivere tra le pagine di uno o più libri e film. E non è un caso che proprio per l’ultima storia di Biagio Mazzeo, sbirro corrotto protagonista del ciclo di romanzi noir di Piergiorgio Pulixi, lo scrittore lo abbia intitolato “Prima di dirti addio”, dove quel “prima” innesca una vertigine di sensazioni di cui l’autore è profondamente consapevole.

Questo capitolo arriva dopo una serie iniziata nel 2012 con “Una brutta storia”, “La notte delle pantere” e “Per sempre” e segue le tracce di Mazzeo che, dopo aver costituito con alcuni colleghi una banda criminale, si trova a dover chiudere definitivamente i conti in sospeso con i propri fantasmi, mentre in parallelo si muove un’inchiesta che svela il volto crudo e vero della ndrangheta. Così la tragedia personale di quest’uomo si allarga sino ad assumere i contorni fluidi di una vicenda corale in cui gli spazi si moltiplicano e la vendetta si attorciglia a complesse operazioni finanziarie, alla lotta al narcotraffico e al denaro che schizza via da un capo all’altro del mondo, veloce come il sangue che ne è il collante.

Nell’incontro a Sassari, durante il primo appuntamento della rassegna Giallonoir, curata da Emiliano Longobardi della Libreria Azuni, Pulixi ha rimarcato come la sua creazione letteraria gli abbia “succhiato l’anima” e lo abbia spossato energicamente. “Scrivere su di lui non è mai stato semplice – ha spiegato – perché scendere nel suo io più profondo ha implicato lasciarsi addosso sempre qualcosa di sporco. Mi ha segnato. È un criminale nonostante indossi una divisa”. Mazzeo è un cuore nero che lo scrittore ha torturato per renderlo ciò che è agli occhi del lettore: “Era necessario denudarlo psicologicamente, mostrandolo nei momenti di estrema tensione”, continua Pulixi che rimarca come: “Sia un personaggio che non si è mai trovato a proprio agio con il destino; è un ribelle, una bussola impazzita ma, parafrasando Stevenson: ‘prima o poi tutti siedono ad un banchetto di conseguenze’. Perciò in lui vedo una figura da tragedia classica”.

Dietro si muove un affresco tentacolare che pesca direttamente dalla realtà in cui emerge in maniera netta cosa sia la ndrangheta. “Sin dal primo romanzo – spiega lo scrittore cagliaritano – ho cercato raccontare cosa fosse. Inizialmente era a livello di strada, quasi un incontro incidentale thumbnail_pulixi libroquando troviamo dei poliziotti con una partita di droga che poi si rivelerà essere di una delle ndrine calabresi. In seguito ho ampliato lo scenario arrivando ne “La notte delle pantere” ad una dimensione internazionale con l’Expo di Milano. Mi interessava far capire come fosse una organizzazione complessa che si inserisce nei grandi circuiti finanziari, ricicla soldi, spaccia cocaina in Europa evitando però accuratamente lo scontro frontale con lo Stato. Anzi semmai si innesta perversamente nello Stato. Non è un caso che per poterla sconfiggere  – continua – sia necessario non andare a troncare gli apparati militari ma semmai quelli finanziari. Lo aveva capito Falcone con Cosa Nostra e nel suo voler seguire la via dei soldi per contrastarla. Perché senza liquidità tutto il loro sistema si blocca”.

Ora però a romanzo chiuso arriva il dopo,
ammette che lo sta ancora metabolizzando in maniera profonda: “Non pensavo, quando avevo iniziato, che mi sarei trovato di fronte ad una macchina criminale così permeante come la ndrangheta. Non lo dico solo come scrittore, ma anche come cittadino, perciò in questo momento ho necessità di prendere fiato prima di capire in che direzione andare. Stesso discorso vale anche nei confronti di Biagio Mazzeo che è rimasto con me per tutti questi anni, ben quattro più quelli di preparazione. Quando mi trovavo a scrivere su di lui mi dava una scarica elettrica emotiva che non ho mai provato con nessun altro dei personaggi che creato”.

Francesco Bellu

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