Archeologia, nel sottosuolo di Alghero un “laboratorio” di magia nera

Tracce di sortilegi dal sottosuolo di Alghero: gli scavi archeologici del sito nuragico-romano ‘La Purissima’ hanno restituito piccoli oggetti di metallo identificati dagli studiosi come segni occulti. Magia nera, per la precisione, affidata alle divinità degli inferi per invocare malattie o sventure.

La sensazionale scoperta è avvenuta nel 1999 ma gli studi e la divulgazione dei materiali venuti alla luce dal sito sono recenti, anche perché si attendevano tecniche di restauro non invasive per reperti tanto delicati. A dare notizia delle sedici tavolette in bronzo e piombo interpretate come ‘tabulae defixiones‘, o tavolette dei malefici, è Alessandra La Fragola, che ha seguito direttamente lo scavo e negli ultimi anni si è dedicata proprio a questi reperti. Il suo contributo “Tra superstizione e speranza, pratiche di defixiones ad Alghero” si legge sul numero 26 dei Quaderni della Soprintendenza Archeologica della Sardegna, pubblicazione annuale che raccoglie riflessioni e notizie dal mondo archeologico isolano, on line da qualche settimana (qui il testo completo).

Il sito della Purissima, a pochi chilometri a Est dal centro di Alghero, è stato oggetto di uno scavo di emergenza nel 1999. Durante i lavori vennero alla luce le tracce di un santuario dedicato al culto delle acque usato sin da età nuragica: la testimonianza più antica è un pozzo sacro, costruito in arenaria, del tipo ben noto in tutta la Sardegna (l’esempio meglio conosciuto è quello di Santa Cristina, a Paulilatino) con vestibolo, scala e pozzo sotterraneo coperto con una falsa cupola. Il santuario, che ospitava sicuramente cerimonie, rituali, offerte votive, fu usato poi fino all’età romana.

I reperti venuti alla luce durante il cantiere, diretto dalla Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro con la funzionaria Daniela Rovina e il responsabile scientifico Pietro Alfonso, sono datati principalmente tra I secolo a. C. e V d. C. A questa fase appartengono defixio in piombo da Algherooggetti votivi in ceramica, vasellame e monete in bronzo: tracce di un insediamento rurale, non particolarmente ricco dato che non circolavano oro e argento, probabilmente il villaggio di Carbia di cui parla il testo latino ‘Itinerarium Antonini‘. Sappiamo ancora poco delle genti che abitavano qui, quel che è certo è che il pozzo consacrato al culto delle acque già dai Nuragici fu oggetto di devozione e cerimonie per molto tempo, probabilmente fino al quinto secolo dopo Cristo, e che qui si veneravano le divinità ‘ufficiali’ accanto a quelle ‘minori’ o ‘infere’ come Anna Perenna e Abraxas. A queste erano indirizzati sedici piccoli oggetti in metallo: si tratta di lastrine in bronzo e piombo, alcune arrotolate o ripiegate su se stesse, prive di incisioni o iscrizioni.

“Nei luoghi di culto ci si imbatte non di rado in ‘frammenti’ metallici – scrive Alessandra La Fragola nel suo articolo dei ‘Quaderni’ – questi ‘frammenti’ vengono di norma archiviati come parti di oggetti non meglio definibili o, nel migliore dei casi, come semplici oggetti a significato scaramantico. Sappiamo invece ormai da numerosi riferimenti di età romana e, precedentemente, anche di ambito greco, che spesso questi resti non sono una parte ma il tutto di un atto antropico ben definito: il maleficio“.

E così le sedici tavolette algheresi, sparse tra i vari strati archeologici e oggi conservate tra Soprintendenza archeologica e Museo della Città di Alghero, sono riferibili a defixiones: un rituale già conosciuto nell’Isola con ritrovamenti a Nulvi, Orosei e Olbia e oggi documentato anche ad Alghero. Ne parla anche lo storico latino Ammiano Marcellino, che nei suoi scritti raccontava di un maleficus sardo fatto uccidere nel IV secolo d. C.

Il maleficio era una pratica occulta, deprecata dalla religione ufficiale e affidata a maghi e maghe custodi ed esecutori del rito: malattie, sventura o sofferenza invocata verso altri con la speranza di conquistare benessere e vittorie nella vita quotidiana e nelle competizioni agonistiche. La fattura era custodita nelle tavolette, che spesso contenevano materia organica come capelli, sangue o saliva, ed era accompagnata da un’invocazione orale. Il fatto che queste  tavole non avessero alcun segno grafico non contraddice il potere magico, rafforzato anzi dal ripiegamento del metallo su se stesso: “Il motivo per cui le lamine venivano ripiegate è doppio – scrive Alessandra La Fragola – fermare, sigillare eventuale materiale organico utile alla fattura e ‘fermare’ l’avversario nella presa del metallo. Tutto ciò rientra nella pratica della magia nera, cui ci si affidava in alternativa rispetto all’invocazione e alla divinazione ufficiale nella speranza di venire ascoltati anche quando era ben chiaro l’intento di nuocere a qualcuno”.

Per contrastare la magia nera, nell’Isola come altrove si usava la magia bianca, che oggi ha lasciato tracce nella cosiddetta ‘medicina dell’occhio’: formule misteriose e antichissime per invocare bene e male, che oggi grazie agli scavi del sito algherese acquistano una nuova preziosa testimonianza.

Francesca Mulas

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