Veleni di Quirra, gli esperti concordano: “Il poligono ha causato tumori”

Da quando il 24 ottobre 2016 sono riprese le udienze del processo sui veleni di Quirra, tutti gli esperti citati dalla pubblica accusa hanno confermato la presenza di sostanze radioattive – o comunque altamente tossiche – nel poligono interforze di Perdasdefogu. E ormai sono una decina, tra consulenti e testi, le persone sentite dal giudice monocratico Nicole Serra che negli ultimi mesi sta convocando le udienze con cadenza mensile. Sul banco degli imputati, i militari che guidarono il poligono dal 2001 al 2012. Otto in tutto: Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi e Paolo Ricci, finiti a giudizio insieme ai comandanti del distaccamento dell’Aeronautica di Capo San Lorenzo, Gianfranco Fois e Francesco Fulvio Ragazzon. Li accomuna l’accusa di omissione aggravata di cautele contro infortuni e disastri.

La sospensione del processo arrivò il 18 dicembre 2014, quando venne rinviata alla Consulta la decisione rispetto alla richiesta della Regione di costituirsi parte civile. C’è stata l’ammissione, ma per il solo risarcimento dei danni di immagine e al patrimonio. Non anche quelli sul riconoscimento di un eventuale disastro ambientale che spetta solo allo Stato, ha stabilito la Consulta. Contestualmente è cambiato il giudice titolare, con la sostituzione di Nicola Caschili (trasferito a Cagliari) con la Serra. Alla fine un anno e mezzo di stop. Le indagini, avviate dal pm Domenico Fiordalisi, sono in mano ai magistrati inquirenti Biagio Mazzaeo e Daniele Loi.

L’ultimo conferma in ordine di tempo sulle sostanze radioattive nel poligono è di ieri: a Lanusei è stato il turno del fisico, Evandro Lodi Rizzini, professore ordinario all’Università di Brescia. Il docente ha confermato la presenza di torio anche “nelle tibie dei pastori deceduti“, mentre ai margini del poligono le ricerche hanno rilevato “sostanze tossiche nell’ambiente, arsenico e piombo, che hanno contaminato anche gli esseri viventi“, ha detto il fisico.

Lo scorso febbraio è stata sentita in udienza, addirittura per dieci ore, un’altra fisica, Antonietta Gatti, esperta di nanopatologia e consulente di diverse commissioni parlamentari sull’uranio impoverito. Sul caso di Quirra, la Gatti ha lavorato per numerosi anni, dal 2004 al 2011. Sotto la lente sia gli agnelli malformati che pazienti con patologie tumorali, soprattutto pastori, alcuni dei quali sono morti e le salme riesumate per ordine della stessa Procura. La Gatti parlò anche di “nesso tra la presenza del poligono e le malattie“. Proprio sul cadavere di un pastore venne trovata una pallina d’acciaio.

A fare da cornice al drammatico quadro di inquinamento ambientale, la relazione che il Comune di Escalaplano chiese a fine 2016 a un proprio consulente, Giovanni Battista De Giudici, dell’Università di Cagliari. Un bollettino di guerra col racconto di militari che “scavavano buche mastodontiche imbottite di esplosivo. Ci buttavano dentro il carico dei convogli e lo facevano saltare in aria. Si trattava di armi e munizionamento fino ad allora custodito nei bunker di tutta Italia”. A Escalaplano passavano i convogli diretti a Perdesdefogu. De Giudici ha quantificato “in 300 tonnellate i veleni di Quirra, all’origine dio tumori e feti deformi“, è scritto nella relazione.

Da quando il processo è ripreso e con il ministero della Difesa citato come unico responsabile civile – gli avvocati degli otto imputati avrebbero voluto includere i Comuni -, i primi a testimoniare furono i pastori che portavano il bestiame a pascolare in terreni distanti sino a quaranta chilometri dal poligono. E dagli esami fatti su bovini e ovini è risultata la contaminazione della carne, come hanno confermato le veterinarie Fiorella Carnevali e Marta Piscitelli che hanno parlato di “una situazione allarmante e preoccupante: gli animali – hanno detto – presentavano nei polmoni, nei reni e nel fegato sostanze tossiche, come piombo e nanoparticelle di cadmio. Le quali sono state rilevate anche nelle carni e nei formaggi (leggi qui)”.

In tribunale è stato chiamato anche il geologo Priamo Farci che raccontò del “rilevamento di materiale inquinante nelle falde acquifere”. E aggiunse: “Quella del poligono militare è una zona ricca di sorgenti e fiumi, quindi non adatta allo svolgimento di attività militari, anche per la presenza di diversi centri abitati nelle vicinanze”. In quella stessa udienza dello scorso febbraio venne citato come teste anche il sovrintendente capo della Polizia. Nino Lecca, in servizio nella Squadra sommozzatori di Olbia, il quale riferì di missili esplosi, bombe e altri rottami militari risalenti verosimilmente all’attività addestrativa e da me anche fotografati nell’area marina di fronte alla spiaggia di Murtas”.

La presenza di materiale bellico è stata richiamata anche in un’altra udienza, a settembre 2017. A parlare di “discarica a cielo aperto” l’ispettore forestale Luigi Lai. Al giudice mostrò anche diverso materiale fotografico nel quale si potevano vedere “razzi, proiettili, bossoli deformati e carri armati, ma anche crateri e fosse che venivano utilizzati per smaltire munizioni e ordigni obsoleti”.

La presenza di pezzi missili e armi è stata denunciata durante il processo pure dal consulente tecnico d’ufficio, Stefano Corrias, chiamato nel 2011 dalla Procura di Lanusei ad analizzare lo specchio d’acqua di Capo San Lorenzo, adiacente alla zona militare del poligono. L’esperto raccontò di “tantissimi detriti e oggetti vari sparsi sul fondale in una area vasta indefinita“. Corrias ha riferito dell’esito dei suoi esami lo scorso gennaio.

Il processo continua il 7 giugno, con altri due testimoni. E al momento il quadro che si sta delineando sembra lasciare pochi dubbi sugli effetti dell’attività militare al confine tra Sarrabus e Ogliastra.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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