Trent’anni dopo, riecco il razzismo antisardo. Alla sbarra otto carabinieri

Lesioni, abuso di potere. Reati compiuti con l’aggravante di aver agito per odio razziale. Alla sbarra otto carabinieri che nel novembre del 2010 operavano nel Nucleo investigativo di Castello di Cisterna, in provincia di Napoli. Ma la stranezza di questa vicenda non è solo nell’identità e nel ruolo istituzionale dei processati. Lo è, soprattutto, per la provenienza delle vittime. Non si tratta di migranti, di rom, né di alcuna delle categorie che ormai da una ventina d’anni vengono colpite da atti discriminatori. Si tratta di cittadini italiani nati in Sardegna.

I loro nomi sono Pasquale Scanu (di Bitti, nella foto), Giuseppe Boccoli (Siniscola), Domenico Porcu (Silanus). Il 3 novembre del 2010 furono accusati di aver sequestrato Antonio Buglione, imprenditore del settore della vigilanza.

Il processo è in corso da mesi davanti al tribunale di Nola. Ne dà notizia – con un servizio a firma di Luca Urgu – l’Unione sarda oggi in edicola. Secondo l’accusa gli otto carabinieri (i capitani Michele Meola e Giuseppe Capoluongo e i sottufficiali Valerio Cappatticci, Giuseppe Nuzzi, Vitantonio Pindozzi, Michele Montalto, Gino Valente e Aniello Cefariello), dopo aver proceduto all’arresto avrebbero sottoposto i tre presunti sequestratori a un pestaggio (mani legate dietro la schiena, pugni e calci) inframmezzato da frasi come “sardi di m…. inginocchiatevi davanti alla giustizia…” , e altre ancora del tipo “sardignuoli di m…. sappiamo noi come trattare i sardi” . A conferma del pestaggio ci sono le foto segnaletiche scattate ai tre dopo il trasferimento nel carcere di Poggioreale. Immagini da cui risultano, con un certa evidenza, delle ecchimosi al viso.

La vicenda giudiziaria principale, quella relativa al sequestro, è particolarmente complessa. La sentenza di condanna di Scanu (26 anni di reclusione) e Boccoli (28 anni) è stata infatti annullata dalla Cassazione senza rinvio. Per cui il processo dovrà riprendere dal principio. I difensori hanno chiesto alla Cassazione di individuare una sede diversa da Napoli perché nel capoluogo campano, a loro giudizio, non c’è la serenità necessaria.

La vicenda ha un sapore anacronistico. Parrebbe un fatto accaduto una trentina d’anni fa. Al tempo in cui i banditi sardi in Toscana si resero responsabili di una serie di sequestri che scatenarono una – per fortuna di breve durata – ondata xenofoba. Se ne occupò a suo tempo il Corriere della Sera con un reportage di Alberto Pinna che parlò esplicitamente di “caccia ai sardi”. Trent’anni fa.

 

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