Sulcis, allarme del Grig: “Come distruggere il Carignano col bioetanolo”

Sembra essere in dirittura d’arrivo il progetto legato al bioetanolo a Portovesme, che rientra nell’ambito del Piano Sulcis. Il Gruppo Mossi-Ghisolfi intende produrre un eco-carburante di seconda generazione vicino allo stabilimento Alcoa grazie a un brevetto innovativo: un carburante derivato dalla cellulosa estratta dalle canne. Il gruppo ha un fatturato dichiarato di 3 miliardi di dollari, 2.300 dipendenti ed è la seconda azienda chimica in Italia. L’investimento sarebbe di 200-250 milioni di euro e dovrebbe garantire 100, 150 posti di lavoro, 600-800 nella fase di costruzione, e poi l’indotto nell’agricoltura. 720 milioni di euro l’investimento totale, in buona parte fondi pubblici. Per l’impianto di Portovesme il 55% dei fondi sarà assicurato da prestiti pubblici a tasso agevolato, da rimborsarsi in 8 anni, mentre il 45% da investitori privati (in particolare il Texas Pacific Group). L’impianto produrrà 80 mila tonnellate di bioetanolo all’anno (e tratterà 400 mila tonnellate di biomassa secca). La produzione totale di 240 mila tonnellate – con altri due impianti analoghi in Sicilia – sarà pari a circa un terzo della domanda italiana di biocarburante al 2020. L’obiettivo, quindi, è contribuire al raggiungimento del 10% di carburanti verdi rispetto al totale fissato dall’Unione europea per il 2020.

“Ma non è una situazione tutta rose e fiori”, scrive Stefano Deliperi del Gruppo d’Intervento Giuridico. “A parte il fatto che seppur ridotto rispetto a quelli di prima generazione, non sarebbe trascurabile l’impatto sui cambiamenti climatici degli eco-carburanti di seconda generazione, sembra, infatti, che per produrre il quantitativo di canne necessario per il funzionamento dell’impianto di Portovesme sarebbero necessari ben 5.000 ettari di coltivazione, cioè l’intero comparto irriguo del Sulcis, attualmente incentrato nella zona di Tratalias-Giba”, si legge in una nota. “Sembra poi che il fabbisogno idrico annuo sia pari a 5 mila metri cubi per ettaro, cioè ben 25 milioni di metri cubi di acqua all’anno. Una follia, la fine di qualsiasi prospettiva di crescita – ma anche di mantenimento – del settore agricolo sulcitano. Addio al Carignano del Sulcis? Forse. Alla monocultura industriale, da kombinat sovietico, tanto cara ai vari Torecherchi che vi han costruito fortune elettorali quanto fallimentare sul piano ambientale, sanitario, sociale ed economico, in quel del Sulcis vorrebbero aggiungere anche una bella servitù agricola e idrica. Ancora oggi i dettagli progettuali non sono stati scandalosamente pubblicizzati ufficialmente, ma impianti simili devono essere preventivamente assoggettati al procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.). Vi interverremo – conclude Deliperi – per difendere ambiente e salute, fin troppo massacrati nel Sulcis delle disgrazie, in attesa di quelle necessarie bonifiche ambientali che ormai interessano solo le cronache giudiziarie”.

 

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