Sindacopoli, 17 nuovi arresti: ci sono amministratori, professionisti e politici

Arriva un nuovo capitolo di “sindacopoli”: diciassette persone sono state arrestate per ordine della Procura di Oristano nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti pubblici pilotati che il  28 aprile scorso aveva portato all’arresto di 21 persone e 3 obblighi di dimora a carico di numerosi amministratori locali e professionisti.

L’operazione di questa mattina, condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza e dai carabinieri della compagnia di Tonara sull’isola e anche in territorio nazionale, ha portato al fermo di esponenti di primo piano della politica regionale, funzionari ANAS, imprenditori e professionisti che, secondo gli inquirenti, avrebbero inquinato appalti pubblici. Tra i fermati, tre sono in carcere, 13 agli arresti domiciliari e uno con obbligo di dimora.

Le indagini si sono concentrate in particolare su alcuni soggetti politici e funzionari di enti pubblici che intrattenendo rapporti palesemente illeciti con imprenditori e professionisti avevano ideato ed attuato un consolidato sistema di controllo illecito degli appalti, anche corrompendo pubblici funzionari. Secondo la ricostruzione accusatoria al vertice della ‘cupola’ di corruzione c’era Salvatore Paolo Pinna, ingegnere desulese di 62 anni, fondatore e amministratore della Essepi Engineering srl. Per lui la Procura ha chiesto il sequestro dei beni.

IL SISTEMA.

Alla base del sistema c’era un principio semplicissimo: chiunque avesse procurato i finanziamenti per l’appalto lo avrebbe gestito a suo piacimento, anche favorendo se stesso e i suoi amici. Per rendere possibile ciò era necessario il coinvolgimento di soggetti che operavano a più livelli; il primo livello era quello dei politici regionali che con le loro decisioni contribuiscono ad orientare la spesa regionale; a livello intermedio si collocava la figura di un “faccendiere” in grado di preservare l’anonimato dei politici corrotti e di organizzare le turbative d’asta attraverso le quali i finanziamenti venivano sì riversati sul “territorio ma ad imprese e professionisti compiacenti. L’ultimo livello era rappresentato da funzionari e amministratori delle stazioni appaltanti che eseguendo le direttive dell’intermediario nella gestione dei finanziamenti ottenevano, tra l’altro, consenso popolare per il loro “impegno nei confronti della comunità”.

In questo modo l’effettiva gestione degli appalti pubblici era rimessa interamente alle scelte dell’intermediario/faccendiere, che, grazie alla corruzione dei pubblici ufficiali, è stato cosi in grado di controllare e indirizzare una buona parte del ciclo economico legato agli appalti pubblici della Regione Sardegna.

GLI APPALTI PILOTATI.

Questo sistema ha permesso al sodalizio investigato di pilotare gli appalti pubblici dei lotti 3 e 8 della Sassari-Olbia, aggiudicati rispettivamente per un importo di euro 70.775.409 ed euro 57.366.243, turbare le aste per l’assegnazione dei servizi tecnici di progettazione di due porticcioli turistici nell’area ogliastrina (Tertenia e Tortolì, quantificabili rispettivamente in circa 16 milioni di euro e 11 milioni di euro), nonché assegnare numerosissimi appalti minori per incarichi di progettazione di opere pubbliche e/o consulenze di varia natura. Per poter attuare questo sistema in relazione ai grandi appalti si è rivelato indispensabile l’intervento del politico o del funzionario pubblico compiacente il quale, di volta in volta, si è attivamente adoperato nel far nominare quei commissari di gara malleabili nel giudicare e quindi assegnare, ad imprese o soggetti amici selezionati dal professionista a capo del sodalizio criminoso, lavori per milioni di euro.

LE INDAGINI

L’attività investigativa, eseguita mediante indagini tecniche, servizi di osservazioni, perquisizioni, ispezioni documentali eseguite sia su apparati informatici che cartacei, accertamenti di natura economica svolti attraverso riscontri bancari, ha permesso di individuare il sistema di pagamento delle tangenti, avvenuto sia in territorio nazionale che all’estero, attraverso modalità formalmente lecite. Si è appurato che il predetto faccendiere/intermediario nuorese retribuiva politici e funzionari mediante tangenti mascherate da consulenze, incarichi professionali anche per interposta persona, contributi elettorali ottenendo in cambio la gestione in prima persona di una cospicua fetta di finanziamenti pubblici erogati sia dalla Regione Autonoma della Sardegna che dallo Stato.

IL DENARO.

Le indagini hanno poi dimostrato che le provviste di denaro utili a distribuire tangenti a politici e a funzionari corrotti, originavano dall’emissione di fatture false emesse dal faccendiere nei confronti delle imprese aggiudicatarie degli appalti, o a imprese collegate, con motivazioni varie come lavori e/o consulenze in territorio nazionale ed estero. Gli associati si sono dimostrati attenti pianificatori delle strategie illecite, operando dietro lo schermo di soggetti economici leciti, in modo tale che da un esame strettamente formale fosse difficile riuscire distinguere le operazioni lecite da quelle illecite, essendo entrambe caratterizzate dalla presenza di tutta la documentazione contabile giustificativa (contratti, fatture, note di credito e quant’altro). In assenza di partita Iva, gli illeciti pagamenti erano effettuati mediante o denaro contante o assegnazione di fittizi incarichi o consulenze a prestanome dei medesimi (familiari o congiunti). Grazie a questo sistema, gli associati, nel momento in cui ricevevano una somma di denaro “illecita”, emettevano direttamente o per interposta persona un documento fiscale formalmente corretto, ma in tutto o in parte relativo ad operazioni fittizie, cosi da poter mascherare quegli introiti di denaro tra le movimentazioni finanziarie societarie. Lo stesso meccanismo veniva poi utilizzato a rovescio nel momento in cui le somme introitate dovevano essere utilizzate per retribuire i comportamenti corruttivi.

LA SASSARI-OLBIA.

La bontà della ricostruzione operata autonomamente dagli investigatori è stata confermata dalla confessione resa dai rappresentanti legali delle imprese aggiudicatarie di appalti inerenti i lavori del tracciato Sassari-Olbia, i quali, in presenza dei loro difensori, hanno raccontato di avere pagato la somma di euro 300.000 cadauno come prezzo per assicurarsi l’aggiudicazione dell’appalto. Le confessioni sono riscontrate dalle perquisizioni ed ispezioni di apparati informatici, avendo rinvenuto documentazione che dimostra le illecite dazioni a favore di politici, funzionari e prestanome degli stessi, quali moglie, sorella e/o fidanzata. In particolare si evidenzia che per un lotto della Sassari – Olbia è stato rinvenuto un elenco dei destinatari delle somme ricavate dalle tangenti pagate dagli appaltatori romani, nel quale figurano quali destinatari la sorella e la fidanzata di due politici regionali. Questa interposizione fittizia avrebbe permesso agli associati di dissimulare le tangenti sotto incarichi professionali apparentemente leciti, permettendo nel contempo ai politici coinvolti di ricevere una retribuzione illecita di 150.000 euro ciascuno. Appare utile evidenziare che era prevista anche una ulteriore tangente per i politici/funzionari pubblici corrotti da 800.000 euro, mascherata con un contratto fittizio per prestazioni professionali di vario genere da rendere nell’ambito dell’appalto stesso; contratto utile a conferire apparenza lecita alle successive dazioni a beneficio dei prestanome e dei destinatari effetti delle somme.

A quasi un anno dai primi arresti salgono così a 95 le persone coinvolte nell’inchiesta. Gli ultimi sviluppi delle indagini avrebbero dimostrato anche un legame con appalti nel Lazio. Alcuni degli indagati hanno scelto il rito di giudizio abbreviato e hanno patteggiato la pena.
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