Sì al decreto Destinazione Italia, Migaleddu: “Autonomia a rischio su energia e ambiente”

Il decreto “Destinazione Italia” è legge. Il Senato ha approvato con 121 voti favorevoli e 91 contrari il provvedimento omnibus che modifica le competenze di Stato e Regioni nel settore della geotermia e rilancia il progetto che converte la Carbosulcis in una megacentrale a carbone, oltre a promuovere la riduzione dei premi Rc-auto e misure per lo sviluppo delle imprese. Insomma, nella nuova legge ci sono finite dentro le trivelle e il carbone.

“Ma non si tratta semplicemente di provvedimenti che riguardano da vicino l’isola – denuncia il presidente dell’Isde-Medici per l’ambiente Sardegna Vincenzo Migaleddu, quanto di un attacco in grande stile all’autonomia regionale. Energia e ambiente sono materie concorrenti tra Stato e Regioni a Statuto speciale, pertanto la nuova legge introduce delle modifiche nell’assetto legislativo che necessitano di un preventivo cambiamento del titolo V della Costituzione. Se poi consideriamo il denaro che il governo intende elargire per la reindustrializzazione dei siti già altamente inquinati e i nuovi veleni che potrebbero arrivare – continua il presidente dell’Isde, possiamo ribattezzare ‘affonda Sardegna’ il decreto su cui la politica sarda tace”.

Trivellazioni, sarà lo Stato a decidere

A finire sul banco degli imputati è l’articolo 1 del “Destinazione Italia”, che “effettua una revisione delle competenze dello Stato e delle Regioni, assegnando allo Stato il ruolo di guida e di coordinamento per lo sviluppo del settore geotermico”, recita il decreto.
A dire il vero, si tratta di misure che in alcuni casi ben si coniugano con le tendenze già in atto nell’isola. Lo scorso dicembre, il presidente uscente Ugo Cappellacci ha infatti autorizzato la società Exergia Toscana a scavare pozzetti termometrici con trivellazioni fino a 100 metri di profondità a Cuglieri e dintorni per la ricerca di risorse geotermiche.

Solo che d’ora in avanti a rilasciare i permessi per le trivellazioni potrebbe non essere più la Regione, ma lo Stato, sulla base di considerazioni di carattere strategico. E con 11 permessi di ricerca pendenti presso gli uffici del Servizio Attività Estrattive, l’isola è tra le più forti candidate ad offrire decine di migliaia di ettari alle aziende che vanno a caccia del calore del sottosuolo. Dal Campidano fino all’Anglona è infatti in atto una gara per la lottizzazione di quello che i geologi chiamano il rift sardo. Così, oltre alle insidie per le falde acquifere, pare che a Roma sia in atto uno scippo di competenze che in Sardegna nessuno finora ha lamentato.

Una megacentrale a carbone al posto della Carbosulcis

Se ieri l’ad di Enel Fulvio Conti annunciava la chiusura della centrale Grazia Deledda di Portovesme, oggi si può ben dire che per ogni centrale a carbone che chiude ce n’è una che apre. “Entro il 30 giugno 2016, la Regione avrà infatti la facoltà di bandire una gara per realizzare una centrale termoelettrica a carbone da 450 Mwe – di cui è inizialmente prevista una versione ridotta da 50 Mwe – dotata di apposita sezione per la cattura e lo stoccaggio nel sottosuolo dell’anidride carbonica prodotta”, recita il testo di legge. Ma cosa accadrà nel caso in cui l’innovativa tecnologia di cattura della Co2 non dovesse essere implementata? Semplice, “se l’innovativo sistema non funzionerà, le emissioni di gas serra attribuite all’impianto sono incrementate del 30%”, dice il testo di legge.

Per il nuovo megaimpianto è prevista inoltre una tariffa incentivante dell’ammontare di 30 euro a Mwh, periodicamente rivalutati, per almeno vent’anni e per un massimo di 2100 Gwh/anno. “Questo significa che un altro 20% della produzione energetica isolana godrà di benefici scaricati sulle tasche degli utenti del servizio elettrico”, spiega Migaleddu. Benefici che andranno a sommarsi a quelli di cui usufruisce la Saras, che fa energia con gli scarti della raffinazione del petrolio. Insomma, non mancheranno alti costi economici per la collettività.

Sempre a Nuraxi Figus, il governo punta poi sulla gassificazione del carbone – da cui si ottiene un gas di sintesi ricco di monossido di carbonio – e sulla tecnologia conosciuta come Enhanced Coal Bed Methane. Significa, detto in parole povere, iniettare nel sottosuolo anidride carbonica allo stato fluido per fare uscire il metano.

Il governo, la Regione, insieme all’Enea e alla Sotacarbo – gli enti che hanno lavorato alla realizzazione delle tecnologie – hanno sempre detto che si tratta di tecnologie pulite e sicure. Ma non mancano gli scettici all’interno del mondo accademico: il National Research Council (l’Accademia delle scienze americane) ha di recente pubblicato uno studio sulla relazione tra i terremoti da una parte e lo stoccaggio dell’anidride carbonica e l’iniezione nel suolo di fluidi perforanti nel sottosuolo. E i risultati non sono incoraggianti. “Nel caso dello stoccaggio dell’anidride carbonica, c’è poi il rischio che si verifichi una fuoriuscita della stessa, letale a concentrazioni elevate”, precisa Migaleddu.

Non mancano neanche le perplessità sulla fattibilità economica del progetto. “Appena un anno fa, il Canada ha rigettato il progetto di un impianto simile a quello che dovrebbe sorgere a Nuraxi Figus, mentre in Norvegia la centrale di Mongstad ha chiuso dodici mesi dopo l’inaugurazione: troppo costosa e troppo poco redditizia”, conclude Vincenzo Migaleddu.

Piero Loi

 

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