Gli 007 libici: “L’Italia pagò 13 milioni per liberare Piano e gli altri ostaggi”

Tredici milioni di euro: sarebbe questa la somma che il governo italiano versò a gruppi criminali libici per riavere indietro i quattro dipendenti della Bonatti rapiti a Mellitah il 19 luglio 2015. Come andò a finire, purtroppo, lo sappiamo: solo Gino Pollicardo e Filippo Calcagno tornarono a casa, mentre il siciliano Salvatore Failla e Fausto Piano di Capoterra rimasero uccisi il 3 marzo in un conflitto a fuoco nella regione di Sabratha durante i concitati momenti della liberazione.

La rivelazione sul riscatto milionario, sempre smentito dal Ministero degli Esteri italiano che ha escluso anche un coinvolgimento di Isis e negato anche dai servizi segreti italiani, è arrivata direttamente dalla Libia: a parlare di una somma versata in cambio della vita degli ostaggi è Mustafa Nuah, capo dei servizi segreti libici, in un’intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera. “Per liberare i quattro, gli Italiani hanno negoziato direttamente con le milizie e tribù locali di Sabratha, dove erano stati portati i tecnici della Bonatti. È addirittura stato pagato un riscatto di 13 milioni di euro”, conferma Nuah all’inviato del Corriere a Tripoli.

La notizia troverebbe sostegno anche in alcuni documenti trovati a Sirte, dove l’esercito governativo libico ha nei giorni scorsi riconquistato alcuni edifici che Isis usava come quartier generale: i miliziani del Califfato nero sono in fuga dalla città e stanno lasciando dietro di sé materiali che potranno essere preziosi per studiare le operazioni passate e future dello stato islamico. Secondo il capo dei servizi segreti libici una parte di quei tredici milioni di euro sarebbero poi finiti in mano alla moglie di Abu Nassim, jihadista ricercato anche in Italia per attività eversive nel Milanese: in suo possesso alcune settimane fa sono stati trovati cinquecento mila euro in contanti.

Mustafa Nuah accusa gli Italiani di aver trattato direttamente con i gruppi criminali che tenevano in ostaggio Fausto Piano, Salvatore Failla, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno: “Lo abbiamo scoperto grazie alle nostre fonti sul posto – denuncia il capo dei servizi segreti libici – ed è allora che siamo andati su tutte le furie. Quei soldi sono finiti in parte in tasca alle bande di criminali legate agli scafisti locali, ma in parte anche ai jihadisti dell’Isis, che ben sappiamo sono presenti in forze a Sabratha”. Nuah è convinto che la vicenda si sarebbe conclusa diversamente se nella trattativa fossero stati coinvolti anche i libici : “Se avessimo lavorato assieme agli italiani, compresi gli investigatori dell’Eni, probabilmente saremmo arrivati a recuperare vivi tutti i tecnici senza pagare il riscatto, evitando così di finire per finanziare il terrorismo dell’Isis”.

Sulle rivelazioni pubblicate dal Corriere della Sera è arrivato oggi l’attacco di Roberto Calderoli, senatore della Lega: “Il 9 marzo scorso il ministro Gentiloni nella sua informativa al Senato ha affermato che non era stato pagato nessun riscatto per i 4 italiani rapiti e che non c’erano elementi per far ritenere che fossero stati rapiti da gruppi vicini all’Isis. Sta mentendo oggi il capo degli 007 libici, che sta fornendo una collaborazione concreta anche con documenti trovati nei covi jihadisti di Sirte, o ha mentito Gentiloni a marzo quando ha riferito al Parlamento? A questo punto, alla luce dell’allarme lanciato sempre dai servizi segreti libici sui numerosi jihadisti Isis in fuga dalla Libia verso l’Italia infiltrati nel quotidiano flusso di migranti stipati sui barconi e sulla presenza di terroristi nel milanese, occorre che il Paese sappia subito la verità. Il premier Renzi ed il ministro Gentiloni dicano con chiarezza se è stato pagato un riscatto e se quei soldi sono finiti all’Isis e se così fosse, se avessero mentito al Paese, si dimettano senza perdere nemmeno un secondo”.

La notizia della morte di Fausto Piano è stata comunicata dal Copasir il 3 marzo scorso. Sette giorni dopo la salma è stata restituita alla famiglia: un dolore immenso per la comunità di Capoterra che nel giorno del funerale si è stretta attorno ai familiari, la moglie Isa e i figli Giovanni, Stefano e Maura. Solo qualche settimana prima i suoi cari speravano ancora in una soluzione positiva della vicenda.

Francesca Mulas

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