Servitù militari, il 4 ottobre antimilitaristi in assemblea a Santa Giusta. A dicembre “Tutti a Cagliari”

Cessazione delle esercitazioni, dismissione dei poligoni e bonifica dei territori con riconversione per usi civili: tre punti fondamentali per continuare la lotta. Non c’è tregua, gli antimilitaristi battono il ferro finché è caldo per ottenere quello che gran parte dei sardi vorrebbero. Più che una questione indipendentista è diventato un principio sociale: in Sardegna poligoni e zone militari non sono più graditi. L’hanno ribadito una volta di più gli organizzatori della manifestazione di Capo Frasca che ieri, guidati da indipendentisti e antimilitaristi, hanno organizzato un incontro nella sala conferenze dell’ex Vetreria a Pirri. Un documento comune che, partendo dai tre punti fermi citati, mira a tenere vivo l’argomento e punta (soprattutto) a far sloggiare quanto prima i militari da Teulada, Perdasdefogu, Capo Frasca e da tutte le altre zone recintate con il filo spinato.

Manca pro s’Indipendentzia, Sardigna Natzione Indipendentzia, Comitato Sardo Gettiamo le Basi, Scida, Comitato Su Giassu, Comitato Amparu, Fronte Indipendentista Unidu, ProgReS ci riprovano e danno appuntamento prima al 4 ottobre (assemblea decisionale di Santa Giusta), quindi al 29 dello stesso mese, in concomitanza con la nuova data del processo Quirra a Lanusei (dove la organizzazioni si costituiranno parte civile), e per metà dicembre a Cagliari quando, in un giorno di Consiglio regionale aperto, sarà organizzata una manifestazione cittadina. “Basta applicare la legge e i principi costituzionali”, ha detto Mariella Cao di Gettiamo Le basi”, come quello per il quale l’Italia ripudia la guerra. Non dobbiamo essere la piattaforma di tutti i conflitti mondiali. Non solo: non c’è proporzione tra il peso militare che deve subire la Sardegna rispetto alle altre regioni. Deve essere rispettata l’uguaglianza, soprattutto se si pensa che l’Isola subisce le servitù più devastanti”. Il pomeriggio di Capo Frasca ha rappresentato una svolta importante, ora per molti la protesta ha solo una valenza sociale (e non politica): “Vogliamo evitare che qualcuno cavalchi la protesta e organizzi incontri “propri” per scopi politici e propagandistici”, afferma deciso Bustiano Cumpostu di Sardigna Natzione, con chiari riferimenti a chi per la prima volta, dopo assensi o silenzi, ha improvvisamente manifestato la propria contrarietà davanti alla presenza dei militari. “Questi incontri, queste manifestazioni>, ha sottolineato a Pirri Cumpostu, “vanno oltre l’indipendentismo. Questa situazione riguarda tutti i sardi senza distinzioni. Capo Frasca è stata una seconda Pratobello. Noi siamo qui per la chiamata del nostro popolo, non vogliamo trattative: le servitù se ne
devono andare”. I tre punti fermi del manifesto per la smilitarizzazione della Sardegna uniscono fazioni politicamente spesso divise: “Prima si lottava in piccoli gruppi”, ha commentato Pier Franco Devias, di A manca pro s’indipendentzia, “a Capo Frasca è stato il popolo a decidere di dire basta”. Nessuno vuole più chiudere gli occhi, le indagini della Procura della Repubblica rappresentano un fattore trainante affinché non ci siano più compromessi: “Trattative? Nemmeno per sogno. Non vogliamo un ridimensionamento delle basi ma la chiusura totale”, ha chiarito Devias, supportato anche da Gianfranco Sollai del Comitato Su Giassu: “La Procura ha parlato di disastro ambientale. Nei capi di imputazione vengono indicati i rischi per la salute dati, ad esempio, dal torio. Dopo Capo Frasca tutti vogliono fare qualcosa”. La manifestazione del 13 settembre è servita: il fermento resta vivo. Dalla coscienza e dalla consapevolezza dei sardi potrebbe realmente partire la dismissione di gran parte delle basi militari.

Federico Fonnesu

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