Sardegna in cinese? Sadingdao. Ecco la visita di Xi Jinping secondo Pechino


La scorsa settimana ‘lo scalo tecnico’ in Sardegna del presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, ha attirato l’attenzione internazionale sull’Isola. Ma che significato ha la visita? In questo articolo il giornalista free lance Gian Luca Atzori (sardo che vive a Pechino) ha incrociato le fonti inglesi e cinesi per offrire un altro punto di vista. Lo stesso testo è stato pubblicato anche su ChinaFiles (un’agenzia editoriale online che si occupa di Asia).

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I cinesi sentono parlare per la prima volta della Sardegna. Migliaia di loro verranno qui dopo questa visita. La Cina investirà sull’isola, porterà lavoro dispiegando enormi potenzialità per le aziende sarde. Queste le assunzioni più gettonate dai leader, sulla stampa e tra l’opinione pubblica. Non staremo forse esagerando?

Quello che doveva essere uno scalo tecnico del presidente Xi Jinping si è trasformato in una parata di potenzialità, aspettative e sogni. Sadingdao è la parola cinese per Sardegna. Dalla personale esperienza di sardo emigrato in Cina ben pochi cinesi la conoscono. Chi prova a capirla scambia il “dao” in mandarino di “isola” con Xixilidao, ovvero la Sicilia. Eppure al contrario di quanto affermato da Pigliaru questa non è la prima volta che i cinesi sentono parlare di Sardegna.

L’isola ha già in passato promosso importanti eventi per il turismo orientale e nel 2010 è stato persino girato un reality show di vip cinesi sulla terra dei quattro mori. L’anno scorso in Cina importanti testate hanno realizzato dei servizi incentrati su Barumini diffusi in tutto il paese. Da come si parla sembra però che dopo la visita del presidente Xi le cose cambieranno. Questo quanto riportato dalla stampa italiana, ma in Cina come viene raccontata la vicenda?

La Xinhua, prima agenzia di stampa mandarina, pone la visita in prima pagina sul sito, come la più recente tra le tappe del presidente per la promozione dell’ambizioso progetto della Nuova Via della Seta, un investimento infrastrutturale di oltre 140mrd di dollari che attraversa oltre venti paesi e mira a connettere Cina ed Europa, e di cui la Sardegna rappresenta una significativa ma piccola goccia nell’oceano. Purtroppo però sia nella versione inglese che in quella cinese la Xinhua parla prevalentemente di rapporti tra Cina-Italia-Europa. L’isola viene accennata come luogo dell’incontro, ma non si entra nel merito di cosa sia, dove sia ne cosa rappresenti. Se non fosse per il “dao” di isola, non si capirebbe neanche se si tratti di un palazzo, un ristorante, un comune o un territorio.

La CCTV, il principale canale di telecomunicazione, ha realizzato un servizio dove accenna la parola Sardegna, ma nelle riprese vi sono prevalentemente immagini di incontri istituzionali, anche se almeno nel finale sfuma sul benvenuto in aeroporto tra abiti e musica tradizionale. Il People Daily invece, organo di informazione del partito, nella versione inglese fa come la Xinhua, mentre in versione cinese si dilunga sulla spiegazione di dove sia l’Italia e quante regioni abbia, parlando del meridione come afflitto dall’annoso problema della mafia e della disoccupazione. Un ottima pubblicità in fin dei conti.

L’ignoranza cinese a proposito dell’isola sarda e in generale dei beni culturali italiani non è ovviamente imputabile solo a questi aspetti. Viviamo in un paese a museo diffuso con tre volte i musei della Francia, di cui il 50% non ha un sito internet, e il 60% non ha personale che parla inglese, figuriamoci in mandarino. Anche se un cinese fosse stato interessato ad approfondire dopo la visita, come avrebbe fatto?

Se la parte della promozione turistica non si rivela dunque attendibile, almeno direte voi, quella relativa agli investimenti e la crescita economica è indiscutibile. Non proprio. Per capirlo è necessario non solo riconoscere le particolarità del contesto sardo ma anche gli interessi e le modalità di quello cinese.

Primo, una grande multinazionale cinese come la Huawei ha deciso di investire in Sardegna. Una grandiosa notizia dal punto di vista commerciale. L’importante è tenere a mente che anche le aziende private in Cina sono essenzialmente aziende pubbliche, guidate dal partito, con una cellula governativa al loro interno in relazione al numero di dipendenti. Questo significa che non stiamo facendo entrare un azienda straniera bensì un governo straniero. Una bella differenza di peso all’interno delle negoziazioni che richiede un amministrazione lungimirante e competente, e delle aziende e cittadini pronti a comprendere l’entità del fenomeno e la differenza tra accordi di carattere economico e politico.

Secondo, per non ricascare in errori passati l’approccio della regione sarda deve essere attivo nel promuovere investimenti cinesi. Basti pensare alla Costa Smeralda valorizzata dagli arabi, considerata dalla gran parte dei sardi come “non vera Sardegna”. Attivismo significa prendere parte alla direzione del processo e non esserne succubi, ispirandosi alle realtà virtuose in Italia, come Toscana, Emilia, Marche e altre che con i prodotti agroalimentari e le pelli stanno marciando in Cina vantando numeri neanche minimamente paragonabili a quelli sardi, e senza che il presidente Xi sia mai andato a visitarle. Questo perché si tratta di regioni capaci di fare rete tra aziende e istituzioni, ed operanti sul tema da oltre un decennio. Tempi fondamentali per creare i presupposti culturali ed economici necessari a valorizzare opportunità simili.

Ovviamente questa rappresenta una grandissima occasione di crescita. Non a caso si parla di un potenziale di 38mrd di euro di investimenti. L’importante è che si consideri l’altro lato della medaglia che poco traspare nella stampa regionale e nazionale, ma soprattutto che si tenti di affrontare l’opportunità con l’attivismo e la lungimiranza amministrativa e aziendale necessaria, la stessa che spesso è mancata in passato.

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Gian Luca Atzori. Sinologo sardo emigrato a Pechino, dove lavora allo sviluppo internazionale del Tsinghua iCenter e della Central Academy of Fine Arts. Collabora da free lance con diverse testate nazionali ed internazionali, scrivendo per The Diplomat, VICE, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, China Files, Formiche e altri. E’ promotore del blog di ProPositivo. Laureato in Lingue e Culture Orientali a La Sapienza, ha perseguito i suoi studi a Pechino tra la BFSU (Comunicazione e Media), la UIBE (Economia e Finanza) e la Tsinghua University, dove si è specializzato in Politica e Relazioni Internazionali.

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