Sa Die, la Sardegna riscopre se stessa

Una festa collettiva, una specie di autocoscienza collettiva. Oggi è Sa die de sa Sardigna: si celebra l’insurrezione che portò alla cacciata dei piemontesi da Cagliari e dall’Isola nel 1794. Lo si fa da appena 22 anni, cioè da quando è stata istituita dal Consiglio regionale nel 1993 come Giornata del popolo sardo. Allora, nella “prima edizione” ci fu una ricostruzione storica con costumi dell’epoca e parrucche, una rappresentazione teatrale nel quartiere storico Castello (a uso non solo dei turisti) di quei fatti se non dimenticati, tralasciati per lungo tempo. Un’operazione a supporto della coscienza identitaria. Nella mai sanata dialettica Isola/Continente; Autonomia/Dipendenza. E così Sa Die è festa a scuola, ma non negli uffici pubblici. Conosciuta, ma non troppo.

Sa die in tundu. E proprio alla ricerca di un evento unico, collettivo, che ricomponga il ricordo e la celebrazione c’è Sa Die in tundu. A caccia di un ritrovarsi. La riproposta dei cerchi, mano nella mano, un gesto di condivisione tipico anche del ballo sardo. Che strizza l’occhio anche alle nuove tecnologie e al supporto dei social, così lo raccontano gli organizzatori: “Un flashmob diffuso organizzato e realizzato da un popolo intero, un modo per sentirsi parte di un destino condiviso e di raccontarlo al mondo attraverso i social network e i nuovi media”. Trenta i Comuni che hanno già aderito, altri cerchi saranno organizzati sul momento da cittadini e scolaresche. Una condivisione al di là dei confini isolani che coinvolgerà anche i sardi che vivono nella penisola e all’estero: da Londra a Berlino fin oltre i confini dell’Europa.

Leggi: Sa Die In Tundu, flash mob collettivo per celebrare la festa del popolo sardo

Sul filo della “costante resistenziale”. Dentro e fuori dall’Isola, il confronto con gli altri popoli ha spesso avuto la chiave della dominazione. A Nuoro, al Man ingressi gratuiti per la mostra “Costante resistenziale” che cita già nel titolo il concetto dell’archeologo Giovanni Lilliu: il principio di conservazione identitaria, uno zoccolo duro di resistenza al passaggio di colonizzatori di fatto. Un no preciso all’appiattimento. L’esposizione ripercorre infatti, in un immenso sforzo, la ricerca artistica sarda di 25 anni (dal 1957 al 1983). L’innoazione, dai primi anni dell’autonomia regionale ai giorni nostri. Una storia, ancora una volta collettiva, in un percorso che punta al riconoscimento e alla riscoperta dell’essere sardi e isolani.

Le barchette indipendentiste. Al di là delle cerimonie ufficiali l’indipendentista Pier Franco Devias ha lanciato l’idea delle barchette11088338_10206240043749913_7047369025732241075_n di carta da regalare per questo 28 aprile. Lanciata su facebook è diventata virale, molto condivisa anche da intere scolaresche. “Un gesto simbolico (e simpatico) per ricordare la nostra storia e per non dimenticare che bisogna sempre avere il coraggio di ribellarsi alla tirannia” – così ha scritto Devias. Un modo per ricordare i fatti e l’imbarco forzato dei piemontesi. Così rilancia questa mattina: “Io nella mia barchetta ci ho messo gli inquinatori, gli speculatori, l’occupazione militare, le strade da medioevo e le scuole che crollano, ci ho messo la politica unionista, la mafia della sanità e della gestione dei rifiuti, la disoccupazione, l’emigrazione forzata, la negazione della nostra lingua e cultura, ci ho messo il lago di cianuro, le bonifiche mancate e tutto quello che fa del male alla nostra terra e alla nostra gente, nella speranza che arrivi il giorno in cui tutto ciò vada via e non torni mai più”.

La storia de Sa Die. Il caso che fece partire il moto popolare, nella primavera di fine ‘700, furono  gli arresti di due avvocati: Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. A capo di un partito patriottico che rilanciava le rivendicazioni politiche ed economiche isolane nei confronti dei piemontesi, intesi come dominatori non graditi. Da tempo i sardi chiedevano più autonomia e una quota  riservata degli incarichi pubblici e militari.

Una rivoluzione borghese, partita dal ceto cittadino e che coinvolse il popolo. Tutto partì dal capoluogo dove il vicerè Balbiano e altri piemontesi furono imbarcati a forza. Da lì il moto popolare raggiunge anche Alghero e Sassari. Da tempo l’Isola rivendicava infatti più autonomia e aveva mal digerito il coinvolgimento nella Francia.

Tanti gli appuntamenti (IL PROGRAMMA) in tutta l’Isola, organizzati dalla Regione Sardegna con il contributo di numerose associazioni. Musica tradizionale, launeddas, visite guidate e balli. Da affrontare in cerchio. A Cagliari si balla dalle 20 in Piazza de Carmine con Jonathan della Marianna e Paride Peddio. A Oristano si balla in cerchio al Giardino dell’Hospitalis Sancti Antoni di via Cagliari.

E si va alla ricerca anche della limba, del sardo: a Sassari, per esempio, sarà possibile visitare il museo nazionale Sanna gratuitamente in un percorso guidato in lingua sarda dal dott. Nicola Dessì, dalle ore 9.30 alle ore 13.30. L’iniziativa è promossa con la collaborazione del Polo Museale della Sardegna – Ministero dei beni e delle Attività culturali e del Turismo. Stesso percorso in sardo, a Nuoro, per la visita guidata “Conoscere Grazia”, a cura dell’ISRE.

 

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