Quirra, tutta colpa del vento

Nella perizia sul Poligono si parla di “probabili contaminazioni acute per militari e civili” a causa dei veleni usati nelle esercitazioni e trasportati dal vento.

“Sulla base dei campioni di suolo ed acque prelevati, possiamo affermare che non siamo in presenza di un disastro ambientale”. Di più: “Una più realistica situazione dei luoghi risulta probabilmente molto prossima a livelli di non rilevanza radiologica”. Lo scrive il professore del Politecnico di Milano Mario Mariani nella perizia (guardacommissionata dal Gup del Tribunale di Lanusei Nicola Clivio, depositata stamane nell’ambito del procedimento sull’inquinamento dell’area di Quirra. Tutto bene quindi? Proprio no.

Uranio e Torio vagavano leggeri

Di certo, afferma Mario Mariani, l’area in questione non è paragonabile ai siti inquinati altamente contaminati come Porto Torres, Gela e Porto Marghera. Questo però non significa che i pericoli siano inesistenti, perché soprattutto nei periodi in cui le esercitazioni erano all’ordine del giorno, “l’attività militare condotta nel Poligono ha favorito la dispersione di particolato con presenza di specie contenenti uranio, torio e contaminanti tossici di varia natura”. E, soprattutto, “il particolato potrebbe essere stato trasportato fino alle aree esterne circostanti il Poligono. Questi fenomeni, nel loro insieme, potrebbero aver generato episodi di contaminazione acuta qualora una frazione importante di particolato fosse stata inalata o ingerita accidentalmente”. L’esperto del Politecnico di Milano non esclude poi che “le attività svolte nel Poligono possano aver prodotto nubi concentrate di polveri con elevato contenuto di elementi chimici pericolosi per la salute finemente dispersi in particolato sottile”, ma oggi la situazione apparirebbe più “confortante”, posto che “l’esame dello stato dei luoghi effettuato attraverso indagini analitiche anche molto raffinate su numerosi campioni di varie matrici raccolte, è comunque condotto e riferibile ad una situazione statica, ‘a riposo'”.

Col maestrale? Chiusi in casa

Sta di fatto che, come riporta lo stesso Mariani, “non si può escludere che la grande quantità di polveri sospese contenenti particelle contaminanti, congiuntamente alla presenza di particolari situazioni meteorologiche, abbiano potuto esporre a rischi di contaminazione acuta, oltre al personale in servizio nel Poligono nelle aree vicine o sottovento e privo di idonei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), anche la popolazione delle aree circostanti, in special modo quelle dei comuni privi di barriere fisiche naturali a loro protezione”.

L’avvocato delle famiglie di Quirra

Una considerazione, quest’ultima, che pare confermare i timori di molte famiglie che abitano nei pressi del Poligono. “Questa perizia non è affatto rassicurante per le parti civili da me rappresentate – ha commentato l’avvocato Adriano Sollai – ovvero tutte persone che abitano nei comuni limitrofi al Poligono e la cui legittimazione ad agire è stata riconosciuta in quanto esposte al pericolo per la loro salute. Mariani conferma che l’attività militare ha favorito la dispersione di uranio, torio e contaminanti tossici di varia natura. È del tutto evidente che una situazione di questo tipo rappresenta un vero e proprio ‘disastro’ per le persone che vivono in quel territorio, in quanto rischiano continuamente un danno alla salute a causa delle attività che si svolgono nel Poligono. È bene quindi che si abbandonino i toni trionfalistici – ha aggiunto Sollai – e ci si attivi, come auspicato dallo stesso perito, per una valutazione più accurata dell’impatto che le attività militari hanno sull’ambiente e sulla salute”.

Analisi sul bestiame: non pervenute

Il documento e i relativi allegati sono il frutto di una ricerca avviata lo scorso anno sia all’interno che all’esterno del Poligono. In particolare, il team guidato da Mariani ha trattato e analizzato 125 campioni di suolo e 7 campioni d’acqua. Ci sono poi 6 sondaggi ambientali a profondità variabile dai 3 ai 6 metri, che hanno prodotto ulteriori 29 campioni. Mancano le “matrici biologiche”, ovvero i campioni da prelevare sui capi d’allevamento. Per vari motivi. Il primo: i periti di parte hanno ritenuto che queste analisi non fossero “utili nella comprensione della situazione dei luoghi”. In secondo luogo, la ricerca ha dovuto fare i conti con “la mancanza di disponibilità di capi ovini di provenienza certa” e, come se non bastasse, a complicare le cose ci ha pensato una “vasta epidemia di lingua blu”.

L’auspicio: nuove ricerche interdisciplinari

La ricerca condotta dall’equipe guidata da Mariani non chiude la vicenda Quirra. Anzi. Scrive l’esperto del Politecnico: “La situazione richiede che siano coinvolte fin da subito molteplici competenze tecnico-scientifico-sanitarie che in modo sinergico e coordinato affrontino le problematiche evidenziate. Dovranno pertanto essere coinvolte più figure professionali che insieme riescano a coprire tutti gli ambiti necessari e diano ampie garanzie per affrontare problematiche di tipo diverso (chimico, ambientale, biologico, geochimico e geologico, veterinario, sanitario, tossicologico e anche ingegneristico-ambientale)”.

Pablo Sole

sole@sardiniapost.it

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