Proposta di legge per riaprire la caccia al daino. Il Grig: “Un’assurdità”

Potrebbe riaprire la caccia al daino nell’Isola. È quello che emerge dalla proposta di legge depositata in Consiglio regionale riguardo i danni all’agricoltura causati dalla fauna selvatica. Il testo, in discussione in questi giorni, è stato presentato il 16 giugno e il riferimento al daino (dama dama) è contenuto nell’articolo 5, laddove si chiede di rimuoverlo dall’elenco delle specie di fauna selvatica particolarmente protetta. “Un’assurdità”, commenta il Gruppo d’intervento giuridico per voce del suo presidente, Stefano Deliperi, “priva di alcuna giustificazione giuridica, ambientale e scientifica”.

Attualmente il daino è presente nell’Isola solo nel parco naturale “Porto Conte” e in poche altre Foreste demaniali (il Limbara, ad esempio). Gli esemplari ormai sono molto pochi. Per dire, nel Parco “Porto Conte” nel 2014 ne sono stati censiti 243. Ed è lì che è ospitata la “comunità” di daini più numerosa dell’Isola. Il daino venne introdotto in Sardegna in epoca fenicia e romana e si estinse proprio a causa della caccia. Come ricorda Deliperi, l’ultima esemplare venne uccisa nel 1968 a S’Arcu e su Cabriolu, sul Massiccio dei Sette Fratelli. Solo in seguito il daino venne reintrodotto in Sardegna con esemplari provenienti in buona parte dalla Tenuta presidenziale di San Rossore. Fino ad oggi, proprio per evitare la sua scomparsa, è stato inserito nell’elenco di specie particolarmente protette. Misura che la proposta di legge in discussione in Consiglio intende cancellare.

“Qualsiasi eventuale esubero di esemplari presenti”, commenta Deliperi, “può essere agevolmente risolta trasferendo quelli in surplus in altre aree forestali (in primis Foreste demaniali) attraverso reintroduzioni mirate”. Le associazioni ambientaliste sono nettamente contrarie e ribadiranno la loro posizione nel corso dell’audizione di domani in Consiglio, presso la V Commissione consiliare permanente. Già alcuni mesi fa Grig aveva duramente criticato la proposta di legge, arrivata dopo la pubblicazione del report sui danni alle produzioni agricole arrecati dalla fauna selvatica nel periodo 2008-2013. Il cinghiale, in particolare, veniva individuato come l’artefice dei maggiori danni all’agricoltura. “Immaginiamo già le richieste”, scriveva Deliperi: “Apertura della caccia al cinghiale per quanto possibile e piani di abbattimento per gran parte dell’anno”.

Secondo l’associazione ambientalista, i danni all’agricoltura sono causati in realtà dall’intervento dell’uomo, a iniziare dall’immissione di cinghiali in varie parti del territorio regionale proprio a fini venatori. Come dire, un circolo vizioso. “L’ampliamento della caccia non risolverebbe nulla“, dice Deliperi. “Le ricerche scientifiche più aggiornate dimostrano che i piani di abbattimento, anche massicci, del cinghiale non comportano la sua diminuzione nel medio periodo. L’unica soluzione sensata che sembra dare risultati nel medio-lungo periodo, quantomeno in determinate situazioni ambientali, è il controllo della fertilità della fauna selvatica”. 

 

 

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