Un pezzo di Sardegna a New York, la stele di Nora esposta al Metropolitan

La stele di Nora in mostra al Metropolitan Museum of Art di New York. Il reperto è uno dei pezzi forti della mostra temporanea “Assyria to Iberia at the Dawn of the Classical Age” (Dall’Assiria all’Iberia all’alba della civiltà classica) inaugurata nella città americana il 22 settembre e che ripropone – attraverso circa 260 opere d’arte in prestito dalle principali collezioni dell’Europa occidentale, del Caucaso, del Medio Oriente, del Nord Africa e degli Stati Uniti – le radici profonde dell’interazione tra il vicino Oriente antico e le terre lungo le rotte del Mediterraneo. Un motivo d’orgoglio per la Sardegna, per Pula e per il Museo di Cagliari che, oltre alla stele, ha prestato anche altri oggetti sino al 4 gennaio 2015 al prestigioso museo americano. Tra i reperti isolani ammirabili nelle teche del Metropolitan ci sono infatti anche una serie di monili di
pasta vitrea e oro, diverse teste fittili, alcuni pendenti e il magnifico bracciale aureo ritrovato a Tharros, che riproduce uno scarabeoquadri-alato, con testa di falco e, ai lati, dei motivi vegetali, costituiti da palmette egizie e fiori di loto.

La stele di Nora è il testo scritto più antico mai ritrovato in Sardegna (dove appare per la prima volta il nome della nostra isola “SRDN”) ed è il più antico a ovest dell’odierno Libano. Sin dall’Ottocento (è stata scoperta nel 1773, vicino alla chiesa di Sant’Efisio, dove un tempo si trovava il tophet) decine di studiosi hanno provato a tradurla. Spesso con risultati completamente diversi. Si tratta di un blocco di pietra arenaria con un’iscrizione in alfabeto fenicio. La sua datazione oscilla tra i secoli IX e VIII avanti Cristo.

Gli studiosi moderni, come detto, sono divisi sulla traduzione del testo. Attualmente è possibile dividere le opinioni in due blocchi: coloro che ritengono si tratti di una commemorazione di una spedizione e coloro che invece pensano al culto celebrativo di una divinità. Nel primo caso si tratterebbe delle attività militari del comandante Milkaton nella localitàdi Tarshish e in Sardegna (con interpretazioni varie), nel secondo, invece, la stele parlerebbe di una dedica al dio Pummay da parte di un alto ufficiale fenicio. Recentemente è stata avanzata un’ulteriore interpretazione che, cercando di mediare tra le altre due, ha proposto “un voto di ringraziamento al dio, dedicato da un alto funzionario fenicio di nome Milkaton, dopo che la sua nave e tutto il suo equipaggio erano riusciti a sopravvivere a una grande tempesta nel viaggio verso la terra di Tarshish”, dai più interpretata come l’antica Tartesso, nella zona meridionale dell’attuale Spagna, corrispondente all’incirca all’attuale Andalusia.

“Non me la sento di interpretare linguisticamente la stele di Nora – afferma Carlo Tronchetti, archeologo in pensione, che per anni scavò a Pula e gestì negli anni Novanta il museo Archeologico di Cagliari, dove il reperto è tuttora conservato -. Posso però affermare che la stele è collocata molto bene nelle tematiche della mostra allestita dagli studiosi americani. Si tratta di un documento fondamentale per l’interpretazione di quel periodo storico, nel quale i Fenici sono ben collegati con gli Assiri. Un periodo nel quale le coste della Sardegna erano un ponte di passaggio cruciale nelle rotte delle navi fenicie verso l’Iberia, lungo la cosiddetta via dei metalli”.

 

Lo studioso pisano racconta poi un aneddoto simpatico legato al reperto, quando era il direttore del museo cagliaritano: “Venne da me un turista che con particolare enfasi mi raccontò di un suo amico avvocato, il quale interpretò a modo suo l’iscrizione della stele. Mi parlò – aggiunge sorridendo Tronchetti – di un re Sargon sumero, probabilmente Sargon il Grande di Akkad, che in accadico veniva chiamato Sharrukin, sovrano che regnò sull’impero accadico intorno al 2300 avanti Cristo. Fin qui tutto bene, restai ad ascoltarlo, quando poi aggiunse che quel re sumero aveva conquistato la Sardegna, per poi fondare Sarroch, pensai di cacciarlo via”.

Citazioni simpatiche a parte, i reperti isolani si inseriscono alla perfezione assieme ad altri reperti nel contesto della mostra americana, il cui obiettivo è quello di condurre il visitatore alle origini dell’interazione tra il Vicino Oriente, più precisamente l’impero Assiro del VII secolo a.C. (che aveva il suo centro nell’odierno Iraq), e il Mediterraneo, nonché spiegare l’influenza che questa interazione ha avuto sulle tradizioni e le opere d’arte delle culture che al tempo abitavano il Mediterraneo. L’impero assiro raggiunse il massimo splendore tra l’VIII e il VII secolo avanti Cristo, periodo in cui nacquero le città stato fenicie al confine con i territori assiri. I rapporti commerciali marittimi tra le coste del Nord Africa e le coste dell’Europa del Sud e dello stretto di Gibilterra, fino all’Atlantico favorirono lo scambio e il movimento di merci, oggetti di lusso e non, creando nuove idee e nuove tendenze artistiche tra il Vicino Oriente e il Mediterraneo.

Questa mostra (oltre 40 musei rappresentati, di 14 paesi) traccia delle comparazioni, evidenziando come gli scambi commerciali ma anche culturali portarono a nuove creazioni artistiche. Il tutto in un Medioriente di tremila anni fa, non diverso da quello odierno, dove le pressioni migratorie ed espansive delle guerre all’interno spinsero alcune popolazioni verso il mare. Partendo dal nord dell’Iraq la potenza militare assira organizzata e feroce avanzò, fagocitando regni e civiltà e spingendo in mare gli stati del Levante e favorendo involontariamente la nascita delle reti marittime fenicie nel Mediterraneo, luogo di transito di materie prime, oggetti di lusso, immagini, idee. Le principali città fenicie – Tiro, Sidone, Biblo e Arwad – si trovavano su una sottile striscia di terra e su isole lungo le coste del Libano e della Siria odierni (separate dagli Assiri da una catena di montagne verso est), e crebbero e prosperarono grazie al commercio.

“Il mondo multiculturale in cui viviamo oggi poggia le sue radici in quei tempi antichi”, spiega Joan Aruz, organizzatore della mostra. I Fenici, le cui navi furono celebrate da Omero nell’Odissea, furono commercianti marittimi intraprendenti e navigatori esperti, che solcavano il Mediterraneo con agili e robuste navi mercantili. Alla ricerca soprattutto delle risorse metallifere del Mediterraneo occidentale, fondarono in tutta quest’area postazioni commerciali e colonie, inclusa Cartagine sulle coste nordafricane, e le cittàdella Sardegna Nora, Tharros, Karel (Cagliari) e Sulki (Sant’Antioco). Le materie prime acquistate dai Fenici venivano trasformate in beni di lusso richiesti in tutto l’antico Vicino Oriente e Mediterraneo. Gli artigiani fenici combinarono abilmente elementi di diverse culture, tra cui spicca l’uso di motivi egizi.

“Il fatto che i reperti isolani e la stele di Nora siano presenti al Metropolitan è motivo d’orgoglio per Pula e per tutta la Sardegna – afferma Michela Fais, socia della cooperativa che gestisce il sito archeologico di Nora -. La stele, purtroppo ancora poco conosciuta, nonostante la sua importanza, è uno dei documenti dove appare per la prima volta il nome della nostra Isola. Approfittando dei viaggi privati delle nostre guide, ho chiesto di documentare questo evento per darne la giusta visibilità. Sono sicura – conclude Fais – che questa esposizione avrà un risvolto positivo a livello internazionale. Mi auguro, di conseguenza, che tutto ciò porti anche un incremento di visitatori per il nostro bel sito”.

Federico Fonnesu

 

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