Paesaggio e usi civici, scure della Consulta sulla legge edilizia

La Consulta ha dichiarato incostituzionali cinque articoli della legge omnibus sull’edilizia, la numero 11, approvata dal Consiglio regionale a luglio 2017 e impugnata un mese più tardi dal Consiglio dei ministri guidato allora da Matteo Renzi. In particolare, le norme cassate riguardano aspetti di tutela paesaggistica, trasferimenti di volumetrie in aree tutelate e usi civici. La sentenza – a firma del presidente Giorgio Lattanzi con Aldo Carosi redattore e Roberto Milana cancelliere – è stata pubblicata oggi e accoglie tutti i rilievi che aveva sollevato Roma contro il provvedimento legislativo della Sardegna. La legge 11 modificava alcuni commi di precedenti provvedimenti normativi in materia come le leggi 2 del 1984, la 23 del 1985, la 45 del 1989, la 12 del 1994, 28 del 1998, la 9 del 2006 e la 8 del 2015. Così in 34 articoli, divisi in diversi ambiti, erano stati trattati diversi temi come la regolamentazione delle varianti in corso d’opera, i cambi di destinazione d’uso e l’applicabilità degli strumenti normativi (Scia). Lo spirito della norma era risolvere dubbi interpretativi emersi nel corso dell’attività di supporto agli enti locali, soprattutto nell’approvazione dei Piano urbanistici comunali (Puc) e nella valutazioni sugli interventi nell’agro. Idem sui progetti riguardanti i parcheggi privati o gli interventi sull’efficientamento energetico.

La Corte Costituzionale ha intanto stabilito che il Consiglio ha legiferato prevedendo interventi “in contrasto con le norme fondamentali in materia di paesaggio contenute nella legislazione statale, eccedendo in tal modo dalle competenze statutarie attribuite alla Regione dallo Statuto speciale di autonomia e violando l’articolo 117 (secondo comma, lettera S) della Costituzione”. Articolo che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Entrando invece nel dettaglio delle parti cassate dalla Consulta, c’è il comma 1 dell’articolo 13 sugli usi civici: la Corte Costituzionale ha dato ragione al Consiglio dei ministri sul fatto che nella legge 11 non è stata prevista la co-pianificazione su alcuni interventi e la procedura per la revisione degli usi civici. Per la Consulta la condivisione preventiva con il Mibact (ministero dei Beni culturali) è obbligatoria nelle zone sottoposte a “vincolo integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi”. La Regione, invece, insisteva sul fatto che “trattandosi di interventi minori o che non alteravano lo stato dei luoghi in maniera permanente e irreversibile“, non si poteva considerare leso l’obbligo della copianificazione. La quale, sempre stando alla posizione espressa dai legali della Regione nella difesa contro l’impugnazione, veniva fatta salva pure nella demolizione degli edifici inseriti nella fascia dei 300 metri e le cui cubature vanno poi ricostruite fuori dall’area vincolata, quindi non di pregio. Ma anche su questo punto la Corte Costituzionale ha dato ragione a Roma, stabilendo che “tali attività devono essere svolta congiuntamente dallo Stato e dalla Regione.

Per Vincenzo Tiana, di Legambiente, il pronunciamento della Consulta è “un segnale importante in vista della nuova Legge urbanistica, perché si dice chiaramente una cosa: in maniera di tutela del paesaggio la Regione non può decidere da sola. Da ciò deriva che il Piano paesaggistico regionale può essere migliorato, può e deve essere esteso alle zone interne, ma non può essere ridotto in termini di tutela. E quindi l’articolo 43, ad esempio, e quelli che prevedono deroghe al Ppr per far approvare accordi di programma, non possono essere attuati. La tutela del paesaggio può essere solo ampliata e migliorata: le regioni possono sì approvare norme in materia, ma solo se queste sono più stringenti rispetto alle disposizioni nazionali”.

Ancora sugli usi civici, la Consulta ha cassato gli articoli 37, 38 e 39 sulla permuta, alienazione, sdemanializzazione e trasferimento dei terreni ad uso civico. Anche in questo caso la Corte Costituzionale ha censurato lo ‘slancio’ in solitaria della Regione, ribadendo che il tema deve essere oggetto di copianificazione con il governo centrale. “In conclusione – si legge nel pronunciamento –  è proprio la pianificazione ambientale e paesaggistica, esercitata da Stato e Regione, secondo le condivise modalità specificate da questa Corte (sentenza n. 210 del 2014), la sede nella quale eventualmente può essere modificata, attraverso l’istituto del mutamento di destinazione, l’utilizzazione dei beni d’uso civico per nuovi obiettivi e – solo in casi di particolare rilevanza – per esigenze di adeguamento a situazioni di fatto meritevoli di salvaguardia sulla base di una valutazione non collidente con gli interessi generali della popolazione locale. Infatti, il mutamento di destinazione «ha lo scopo di mantenere, pur nel cambiamento d’uso, un impiego utile alla collettività che ne rimane intestataria» (sentenza n. 113 del 2018). La ratio di tale regola è nell’attribuzione alla collettività e agli utenti del bene d’uso civico, uti singuli et cives, del potere di vigilare a che la nuova utilizzazione mantenga nel tempo caratteri conformi alla pianificazione paesistico ambientale che l’ha determinata”.

“Risspettiamo, come sempre, il giudizio della Consulta – ha commentato Stefano Deliperi, che con il Gruppo di intervento giuridico ha ‘ispirato’ le norme sugli usi civici – ma a questo punto non si capisce come si dovrebbe procedere quando ci si trova in situazioni per cui non si può, anche con buonsenso e razionalità, trasferire i diritti di uso civico. Ad esempio, nelle zone radicalmente trasformate che si fa? La legge nasceva anche per risolvere queste situazioni. A questo punto rimane da capire quale può essere la soluzione costituzionalmente valida, anche perché la legge 11 già prevedeva la copianificazione. Rimane quindi il punto interrogativo: e ora?”.

 

 

 

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