Non finito sardo, il brutto che avanza: la galleria di orrori su Facebook

Non solo non finito: c’è il serrandismo, lo spugnatismo, lo stratificazionismo. Poi il non finito naturalistico, il non finito marittimo, il rurale, il riqualificato, il religioso, il natalizio. La pagina ‘Non finito sardo’ creata su Facebook da due giovani che preferiscono mantenere l’anonimato, è un preciso campionario di architetture pubbliche e private, urbane e rurali rimaste incompiute. Alcune anche per decenni. Ma nessuna accusa: “La nostra non è una pagina di denuncia di spreco di denaro – avvisano i gestori –  semplicemente registriamo lo sviluppo di quello stile architettonico che definiamo Non Finito Sardo”. Lo spazio, creato su Facebook, ha conquistato in pochi mesi oltre cinquemila contatti: tra di loro anche molti architetti che lasciano commenti ironici sui post o inviano nuovi contributi alla pagina.

Le immagini non sono localizzate per garantire la privacy dei proprietari. Tanti, tantissimi gli orrori sparsi per l’Isola: c’è il palazzo con ben quattro piani tutti incompiuti, la struttura che alterna laterizi e blocchetti in cemento, l’intonaco steso a tratti, le sovrapposizioni. Ci sono elettrodomestici e cavi elettrici a vista nelle facciate delle case, o l’edera che ha conquistato pareti grezze creando singolari connubi tra natura e opera muraria. C’è addirittura l’incompiuta in cimitero, con la cassa in mattoni e cemento grezzo sovrastata da una croce in ferro, o quella religiosa, con chiese che conservano una facciata in blocchetti mai rifinita, quella natalizia con addobbi improbabili sui mattoni grezzi. Ci sono non finiti impreziositi però da dettagli singolari come torrette finto-medievali, portelloni dalle linee fantasiose, tetti con profili sinuosi, finestre a oblò e porte che si aprono sul nulla, in un singolare contrasto tra abbozzato e nuovissimo.

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Il non finito sardo trova riscontri precisi anche oltre mare: nella pagina ci sono testimonianze dalla Sicilia, dalle isole greche, dalla Normandia e dalla Spagna. Ricorrente, in tutte le architetture, la stratificazione: livelli diversi di costruzione che si accumulano negli anni segnati dall’uso di materiali, intonaci, laterizi e cemento diversi oltre che dal gusto estetico che cambia. Ma c’è chi è convinto, come l’architetto di Sedilo Roberto Virdis (leggi) che non sia il male peggiore: ci può essere un’architettura finita ancora più brutta e mentre il non finito può essere migliorato, quello che si è già terminato spesso è senza speranza.

Francesca Mulas

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