Nel Sulcis le trivelle scaldano i motori

Altro che fine dell’epopea mineraria, nel Sulcis le trivelle scaldano i motori: è del 9 luglio scorso la richiesta di effettuare perforazioni fino a 1500 metri di profondità presentata dalla Sotacarbo all’assessorato all’Ambiente. Non si tratta, però, di estrarre carbone, ma di “acquisire informazioni sulle caratteristiche delle formazioni geologiche per un eventuale confinamento di anidride carbonica nel sottosuolo”, si legge nel progetto della società partecipata da Regione ed Enea. Per questo sono previste anche iniezioni-prova di C02  nel sottosuolo. C’è comunque dell’altro, visto che questa è solo la prima fase di un progetto di maggiore portata che coinvolge regione e governo: nuove centrali a carbone potrebbero infatti sorgere nel territorio (oltre alle due già presenti, mentre una terza è stata di recene proposta dall’Eurallumina). Inoltre, qualora le indagini dovessero individuare giacimenti di metano (o petrolio), il paesaggio sulcitano potrebbe finire per ospitare pozzi di estrazione per lo sfruttamento degli idrocarburi. Non solo, dunque, l’epopea mineraria del Sulcis è ben lungi dall’essere conclusa, il sogno industriale è ancora in corso.

Separare, iniettare e stoccare nel sottosuolo la Co2

Tutto nasce con il permesso di ricerca “Monte Ulmus” per combustibili solidi e acque termali richiesto dalla Sotacarbo l’8 luglio del 2014 su un’area di 5600 ettari tra i comuni di Carbonia, San Giovanni Suergiu e Portoscuso. “Il permesso è oggi in fase di rilascio”, annuncia la Sotacarbo, ragion per cui si va avanti con la caratterizzazione dell’area. D’altra parte, non mancano i  finanziamenti dell’assessorato alla Programmazione (8 milioni 356 mila euro) e del ministero dello Sviluppo Economico con 3 milioni di euro l’anno per dieci anni. Sulla fattibilità della caratterizzazion dovranno, in ogni caso, prima esprimersi gli uffici competenti dell’assessorato all’Ambiente.

“In questa fase – spiega il direttore della Sotacarbo Mario Porcu -, si approfondirà la conoscenza del sottosuolo, individuando i siti sotterranei adatti al confinamento dell’anidride carbonica prodotta dalle grandi centrali termoelettriche. Ma siamo ancora nell’ambito della ricerca”.

Come funzionerà a pieno regime il sistema della cattura e del sequestro dell’anidride  carbonica? “Si parte con la cattura dell’anidride carbonica  sprigionata dal ciclo produttivo della centrale”, spiega sempre Porcu. In pratica, “si separa la C02 dagli inquinanti generati dalle centrali termoelettriche (che a quanto pare saranno liberi di librarsi in aria, ndr.), perché solo allo stato puro l’anidride carbonica non è inquinante”. Ma è lo stesso dirigente della Sotacarbo ad ammettere che “quella della separazione è un’operazione molto costosa”.

“Se c’è metano, si utilizzerà”

Il passaggio successivo è quello dell’iniezione ad alta pressione delle co2 nel sottosuolo, laddove sono stati individuati siti idonei, attraverso le tecniche CBM e ECBM. Le sigle, sconosciute al grande pubblico stanno per  Coal Bed Methane e Enhanced Coal Bed Methane. Significa, detto in parole povere, iniettare anidride carbonica allo stadio supercritico (liquido) per far fuoriuscire il metano (o il petrolio) eventualmente imprigionato negli strati carboniferi profondi o nelle porosità del carbone. Vale a dire, in questo secondo caso, fare qualcosa di analogo al fracking, utilizzando co2 e carbone invece che altri fluidi e rocce di scisto.
A questo progetto la Sotacarbo lavora ormai da anni. E stando a precedenti studi della società, l’area compresa tra Carbonia, San Giovanni Suergiu e Portoscuso sarebbe la più idonea per l’implementazione di queste tecnologie. Tanto che i ricercatori dell’ente Alberto Plaisant e Raffaele Cara hanno proposto la realizzazione di pozzi orizzontali verso il mare per raggiungere gli strati di carbone profondi.

Interrogato sull’eventuale presenza di idrocarburi  intrappolati nel sottosuolo sulcitano, Porcu risponde che “il carbone del Sulcis è tendenzialmente povero di metano, ma potrebbero esserci giacimenti a profondità elevate. Se ci sono, si utilizzeranno”. In ogni caso, “il vero obiettivo del progetto è ridurre le emissioni di Co2 in atmosfera, non stiamo andando a caccia di metano”, tiene a precisare il vertice della Sotacarbo. E aggiunge: “L’altra possibilità è che ci siano dei vuoti, che potrebbero appunto essere riempiti con la Co2”.

 “S’insiste su una strada chiusa ormai da tempo”

Il progetto della Sotacarbo suscita intanto le prime reazioni. “Si continua a percorrere la strada del carbone, nonostante quel percorso sia già stato chiuso dalla storia. Conviene spendere così tanto quando sarebbe possibile ottenere un risultato migliore con le fonti di energia rinnovabile?”, si domanda Stefano Deliperi del Gruppo d’intervento giuridico.  In effetti, c’è un precedente che depone a favore della tesi del giurista:  il sistema di stoccaggio della Co2 affiancato alla raffineria di Mongstad, in Norvegia, ha chiuso dodici mesi dopo l’inaugurazione: troppo costoso e troppo poco redditizio.

Deliperi non manca, inoltre, di riportare l’attenzione alle procedure d’infrazione aperte dalla Commissione Europea per gli aiuti di stato ricevuti da Carbosulcis e Sotacarbo. “L’impressione è che si faccia di tutto per continuare a tenere in piedi delle società che hanno esaurito la loro missione”.

Da parte loro, governo e regione, insieme all’Enea e alla Sotacarbo, sostengono che le tecnologie di cattura, iniezione e stoccaggio della Co2 sono pulite e sicure. Ma non mancano gli scettici all’interno del mondo accademico: il National Research Council (l’Accademia delle scienze americane) ha di recente pubblicato uno studio sulla relazione tra i terremoti da una parte e lo stoccaggio dell’anidride carbonica e l’iniezione nel suolo di fluidi nel sottosuolo dall’altra. E i risultati non sono affatto incoraggianti.

Al momento, inoltre, la scienza non sembra in grado di escludere la possibilità che le falde acquifere vengano contaminate da metalli pesanti smossi nel corso dell’iniezione della Co2. Né di escludere tout court l’eventuale fuoriuscita dell’anidride carbonica (che a elevate concentrazioni può risultare letale) dai depositi in cui verrà confinata. Porcu, invece, ritiene che “questo rischia sia minimo, quasi vicino allo zero”.

Nuove centrali a carbone dietro l’angolo

Almeno all’inizo, la Co2 da stoccare potrebbe essere quella prodotta dall’impianto alimentato a polverino di carbone previsto dal protocollo d’intesa firmato da Regione Sardegna e ministero dello Sviluppo economico a giugno del 2013 di cui parla anche il decreto già convertito in legge “Destinazione Italia”. Si tratta di un piccolo impianto pilota, un leggero antipasto rispetto alla mega centrale a carbone da 450 Mwe dotata di apposita sezione per la cattura e lo stoccaggio nel sottosuolo dell’anidride carbonica prodotta. Entro il 30 giugno 2016 la regione può infatti bandire una gara per realizzare il nuovo impianto”, recita la stessa legge. Ma cosa accadrà nel caso in cui l’innovativa tecnologia di cattura della Co2 non dovesse essere implementata? Semplice, “ le emissioni di gas serra attribuite all’impianto saranno incrementate del 30%”, dice il testo di legge. Per il nuovo megaimpianto è prevista inoltre una tariffa incentivante dell’ammontare di 30 euro a Mwh, periodicamente rivalutati, per almeno vent’anni e per un massimo di 2100 Gwh/anno. Oltre alle centrali a carbone, dietro l’angolo c’è anche il business.

 Piero Loi

 

 

 

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