I migranti scappati dalla guerra che ora coltivano la terra in Sardegna

Lavoravano la terra in Somalia, Etiopia, Nigeria prima che le guerra e le requisizioni li costringessero a scappare dalla loro Africa per finire in Sardegna. Ora hanno ritrovato il loro vecchio mestiere nelle campagne di Muros: coltivano ortaggi, raccolgono olive e fra poco si cimenteranno anche con le piantagioni di fragole. Sono una cinquantina e hanno formato una cooperativa chiamata Warwii. Significato: terra da coltivare. Fanno parte del centro di accoglienza Janas e la loro attività fa parte del progetto Movida che si occupa di integrazione di giovani extracomunitari. Un’iniziativa che ha coinvolto enti e organizzazioni che nel loro territorio hanno un certo peso: artigiani, Camera di commercio e Coldiretti. E proprio durante il convegno-protesta organizzato dalla Coldiretti oggi a Cagliari, l’esempio dei giovani che passano la giornata a lavorare è stato citato da chi parlava dal palco. E i metaforici riflettori sono stati rivolti verso quei ragazzi seduti nelle prime file arrivati dal Sassarese per testimoniare come la terra possa essere simbolo di lavoro e di integrazione.

“Non vogliamo andare in giro a chiedere soldi o elemosina – spiega all’ANSA il rappresentante della piccola comunità di immigrati contadini Cheikh Diankha, presidente centro accoglienza Janas international Li lioni – sappiamo lavorare la terra e quando ci è stata offerta questa possibilità l’abbiamo colta al volo”. Per loro – come spiega il presidente di Movida Luca Pintus- l’occasione è arrivata da un terreno abbandonato nelle campagne di Muros e dato in comodato d’uso per sei anni proprio per questa iniziativa. “Integrazione – spiega Diankha – ma per noi è anche un’occasione di acquisire nuove tecniche ed esperienza in vista del ritorno a casa quando ci saranno le condizioni per rientrare”. Ci sono progetti simili anche per imparare e migliorare le competenze di calzolaio e di sarto. Sempre con lo stesso obiettivo: sfruttare questa parentesi lontano dalla patria per poi poter lavorare meglio quando si tratterà di ricostruire il futuro a casa. Tutti soddisfatti: non solo agricoltura, presto quella terra che sta già dando ottimi frutti potrebbe ospitare anche piccoli allevamenti di pollame. Terra che fa economia. Ma anche terra di pace e di integrazione. (Ansa)

(foto d’archivio)

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