Migranti e accoglienza, il report di Valentina Brinis: “Possiamo fare di più”

In Sardegna ci sono oggi 42 mila stranieri, il 2,5% dell’intera popolazione isolana: una percentuale piccola, se confrontata con il resto del paese dove ogni cento abitanti 18 sono stranieri. La Sardegna potrebbe fare di più in fatto di accoglienza? Se lo chiede Valentina Brinis, autrice insieme a Betti Guetta del rapporto ‘Flussi migratori e accoglienza in Sardegna“, risultato di una ricerca di 18 mesi sul tema finanziata dalla Fondazione Banco di Sardegna. Il rapporto è oggi oggetto di un incontro a Cagliari, nella sede della Fondazione,  a cui partecipano anche il direttore della Caritas italiana Francesco Soddu, il presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru e Luigi Manconi, senatore del Pd e presidente della Commissione Diritti Umani del Senato. L’incontro è stato organizzato dall’associazione A Buon Diritto.

Il report della Brinis, laureata in Sociologia, ricercatrice presso l’associzione A buon diritto e direttrice del sito italiarazzismo.it racconta un quadro della Sardegna diverso da quello comunemente percepito: i 42 mila stranieri (di cui 18 mila comunitari e 24 mila extra comunitari) sono una percentuale minima rispetto alla popolazione, tantissimi lavorano regolarmente e hanno attività proprie. Ben 9166 sono titolari di imprese individuali, la maggior parte sono impegnati nei settori di commercio, ristorazione e come operai specializzati nelle costruzioni, meno in agricoltura e industria. Le comunità più numerose sono marocchine, cinesi, senegalesi e romene e stanno soprattutto a Cagliari, Olbia e Sassari.

Un discorso a parte è quello degli stranieri arrivati nell’isola dopo l’emergenza del Nord Africa: dal 2011, quando è stato approvato il Piano nazionale per l’Accoglienza Migranti, l’isola accoglie il 2% dei migranti che sbarcano sul territorio italiano e fanno richiesta d’asilo, un iter lungo che porta queste persone a sostare nel paese per diversi mesi. Su 67 mila migranti in attesa di sbrigare la pratica l’isola ne ospita un migliaio: sono al Cara, il centro di accoglienza richiedenti asilo di Elmas, e poi nelle tante strutture temporanee distribuite sul territorio sardo individuate grazie a bandi specifici delle Prefetture di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano.

Il passo successivo è la seconda accoglienza: l’integrazione dei migranti che intendono seguire percorsi di inserimento nella società e nel lavoro è l’obiettivo dello Sprar, il Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati organizzato da un protocollo di intesa tra Ministero dell’Interno, Anci e Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR) e finanziato sulle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Nell’isola ci sono oggi solo tre progetti Sprar: sono quelli dell’Associazione “Cooperazione e Confronto”- Onlus di Don Ettore Cannavera, del comune di Villasimius  e del comune di Quartu Sant’Elena dove lavora la Caritas cagliaritana.

“Nel complesso – scrive Valentina Brinis nel rapporto – il dato che emerge come maggiormente problematico è quello rappresentato dalla lentezza e dalla macchinosità dei processi di inserimento dei richiedenti asilo e poi di accoglienza vera e propria. A ciò si aggiungono la debolezza e la precaretà dei progetti Sprar, spesso estemporanei, privi di una continuità nel tempo, scarsamente coordinati tra loro e quasi mai inseriti in una programmazione complessiva. E, ancora, andrebbe rivolta la massima attenzione alla possibilità di inserimento degli stranieri, una volta regolarizzati o una volta riconosciuti come rifugiati in settori dell’economia regionale che, pur particolarmente stremata dagli effetti della crisi economica, sembra tutt’ora offrire qualche opportunità, come il lavoro agricolo o quello domestico”.

Il rapporto “Flussi migratori e accoglienza in Sardegna” si chiude con alcune proposte concrete rivolte ad autorità e istituzioni: “Una Commissione Territoriale locale, indipendente da quella romana, che acceleri le pratiche sulle richieste di asilo; il trasferimento del Cara di Elmas all’esterno dell’area aeroportuale, per consentire agli ospiti una maggiore agibilità e un regime meno rigido e meno gravato da controlli e vincoli; l’incremento dei progetti Sprar, puntando sulla loro capacità di inserirsi nelle opportunità offerte dall’economia locale”. Un ultimo punto riguarda i progetti sul lavoro agricolo e domestico: “Sarebbe opportuno realizzare progetti che permettono la razionalizzazione e la selezione dell’offerta di lavoro domestico e di cura, in modo da ridurre la quota di lavoratori in nero. E la valorizzazione del lavoro straniero in agricoltura: in una regione dove il 64% delle terre sono coltivabili, i lavoratori stranieri regolari in questo settore costituiscono una percentuale assai ridotta”.

Francesca Mulas

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