L’INTERVISTA su SP Magazine. Disturbo della memoria: i sardi, l’emigrazione di ieri, la xenofobia di oggi

Di seguito l’intervista di Giovanni Runchina all’antropologo Giulio Angioni, morto questa mattina. Un testo – pubblicato nel primo numero di Sardinia Post Magazine (luglio agosto) in cui si tratteggia un “Disturbo della memoria” dei sardi.  Un popolo di emigranti, fino a pochi decenni fa vittima della xenofobia che non si distingue dagli altri. Ecco il perché, secondo l’antropologo.

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I primi sintomi furono avvertiti nell’agosto del 2013. La notizia che a rappresentare il governo in occasione della visita a Cagliari della ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge scatenò una tale quantità di commenti razzisti sui social che la decisione fu revocata. L’ultimo è del 7 giugno 2016: ad Aglientu, in Gallura, una struttura destinata a diventare un centro d’accoglienza per i migranti è stata data alle fiamme da sconosciuti. Cose del genere capitano un po’ ovunque in Italia. Non si tratta, purtroppo, di eventi straordinari. Ed è proprio questa uniformità di comportamenti che sorprende.La Sardegna, infatti, dovrebbe essere dotata di una buona dose di difese contro le tentazioni xenofobe. È stata una terra di emigrazione – si stima che a cavallo con gli anni del boom in 400mila abbiano lasciato la Sardegna – e i Sardi sono stati, anche in tempi relativamente recenti, vittime del pregiudizio. Ancora all’inizio degli anni Novanta era possibile leggere sui muri della Toscana, scritte come “Sardi, tornate nel Sardistan”.
C’è, insomma, un problema di memoria. Ne è convinto Giulio Angioni, classe 1939, per una vita docente di antropologia culturale all’università di Cagliari e autore di romanzi di successo. Nel 1992 pubblicò per Feltrinelli Una ignota compagnia, la storia dell’amicizia tra un ragazzo sardo e un ragazzo africano immigrati a Milano, uno dei primi romanzi dedicati al tema della società multietnica. «Ci manca la memoria storica – osserva – e il razzismo nasce proprio dall’ignoranza del passato. Conservassimo i ricordi amari di quello che da emigranti abbiamo patito, sia andando all’estero sia in altre parti d’Italia, non avremmo certi atteggiamenti inqualificabili. Non siamo di fronte a un fenomeno nuovo, ma solo all’intensificazione di qualcosa che esiste da sempre: l’animale-uomo è sempre stato in movimento, le migrazioni sono nate con lui e si sono verificate a tutte le latitudini; ciò che osserviamo oggi è solo più accelerato rispetto al passato».

E, diceva con riferimento ai Sardi, questo permanente spostarsi da un luogo all’altro fa parte della nostra storia…

Certamente. Nel passato la Sardegna è stata tra i ponti più importanti di passaggio dell’umanità che si spostava dall’Africa al Mediterraneo Settentrionale. Un ponte molto affollato, eppure abbiamo la curiosa tendenza a valutare l’isolamento come un valore positivo, perché ci avrebbe protetto da svariate invasioni. Si tratta di un luogo comune del tutto infondato: tutta la nostra storia è fatta di arrivi successivi e noi siamo il risultato di varie mescolanze di popolazioni differenti. Altri, come per esempio i Siciliani, vanno orgogliosi di potersi considerare il prodotto della commistione tra i sicani, i Greci, i Normanni, gli Arabi, i Romani e i Punici. Il nostro orgoglio di appartenenza, invece, ci porta a nasconderlo. Tra l’altro, proprio mentre questo fenomeno eterno sta registrando un’accelerazione dirompente. Lo spostarsi degli uomini è diventato un fenomeno planetario: il risultato è che tutto il mondo si riproduce in ogni luogo, pure nell’isolata Sardegna.

E a molti di noi tutte queste persone che ci paiono diverse fanno paura…

È un aspetto del problema, ma non lo spiega completamente. Se è normale che la gallina nuova introdotta nel pollaio sia beccata dalle altre che già lo popolano, è un errore ritenere altrettanto usuale il timore dell’uomo nei confronti del diverso. La prima cosa da combattere è l’idea diffusa che l’atteggiamento ostile verso il diverso che arriva tra noi sia normale. Corbelleria tanto più assurda se pensiamo che chi oggi bussa alle porte di casa nostra non è di certo in armi. Se la resistenza è doverosa di fronte a un’aggressione, non lo è altrettanto davanti a un’umanità dolente che, tra le altre cose, non intende restare da noi a lungo perché volge lo sguardo e le speranze altrove. Credo urgente di questi tempi combattere l’idea che appartenga alla natura umana la difficoltà a convivere tra persone che hanno convinzioni religiose diverse: maomettani e cristiani hanno convissuto in tutta Europa in pace per lungo tempo e in maniera proficua. Istanbul è città multietnica, multireligiosa da almeno sei secoli. Senza scomodare i grandi esempi, se guardiamo alle nostre micro- comunità, ci accorgiamo d’infinite situazioni di pacifica,
proficua e vitale integrazione. Magari non perfetta, ma molto ben avviata.

E, viceversa, noi sardi siamo stati la ‘parte debole’ in situazioni nelle quali la convivenza non era perfetta.

In effetti abbiamo in proposito molte cose da ricordare. Siamo stati visti come “diversi” per qualche motivo, anche solo fisico, e questo ci ha spesso creato delle seccature. A essere obiettivi, tuttavia, c’è da osservare che siamo state sempre tenuti un po’ al riparo da altre diatribe ben maggiori come quella tra Nord e Sud del Paese. Ma anche noi abbiamo vissuto situazioni fastidiose, alimentate da fattori marginali.
Penso, ad esempio, allo stereotipo del “sardo basso”, riproposto pure dai comici apparentemente più intelligenti, nellaperpetuazione di un’alterità fisica usata per marchiare le popolazioni mediterranee nel loro complesso, considerate “pitticcusu, nieddusu e mancai tontusu” (piccoli, neri e pure tonti, ndr). Si tratta evidentemente di una caricatura, il fatto è che siamo noi stessi ad alimentarla, accettandola come se questo fosse normale, forse perché ce lo siamo sentito dire infinite volte. La caratterizzazione negativa del sardo nel suo complesso è cosa antica, maturata sotto il dominio piemontese. Penso che nella Sardegna spagnola ci fosse molto di meno perché eravamo parte dell’impero più grande, condizione nient’affatto disagevole.

Negli ultimi anni la Sardegna è diventata l’approdo delle navi che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. Per la prima volta abbiamo visto sbarcare nei nostri porti centinaia e centinaia di persone tutte assieme. Come valuta quanto abbiamo fatto fino ad ora?

Sicuramente potremmo fare di più. Oggi l’accelerazione è così forte da spiazzarci. Ma non manca chi apprezza tutto questo ribollire di spostamenti: i pastori sono ben lieti di avere dipendenti, magari in nero, che svolgono lavori rifiutati dai locali e pure molte famiglie sono contente di poter contare su centinaia di badanti straniere. Tra inciampi ed esitazioni stiamo imparando a familiarizzare con questa nuova realtà dirompente, nonostante vi siano molte persone che soffiano sul fuoco della paura. Un atteggiamento sgradevolissimo e irresponsabile, mosso da ragioni di bassa politica.

 

Foto Francesco Nonnoi

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