L’assistenza religiosa in ospedale, dalla sanità sarda 600mila euro ogni anno

“Recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura”: con questo nobile obiettivo, definito dalla Conferenza episcopale italiana, la Pastorale della salute nella Chiesa italiana assiste i pazienti e i loro familiari negli ospedali sardi. Chiunque entri in una struttura sanitaria pubblica può vederli all’opera mentre si occupano di ascoltare e pregare, somministrare i sacramenti, celebrare messa per chiunque senta la necessità di un conforto spirituale. In pochi però sanno che la presenza di sacerdoti, frati e diaconi tra i pazienti di tutta Italia è pagata interamente dal sistema sanitario nazionale attraverso le aziende  locali: un piccolo esercito di assistenti religiosi che incide parecchio sul budget annuale della sanità sarda. Seicento mila euro, per l’esattezza, versati nei conti bancari di venticinque persone nominate dai vescovi e pagate dalle aziende sanitarie.

Lavorare sui numeri è stato piuttosto complicato: non esiste un documento unico con informazioni su tutto il personale religioso assunto nella sanità sarda. Prima di qualsiasi ragionamento occorre però una premessa: non c’è nulla di illegale o segreto. È tutto scritto nella legge 833 del 1978 che istituisce il sistema sanitario italiano, all’articolo 38: “Presso le strutture di ricovero del servizio sanitario nazionale è assicurata l’assistenza religiosa nel rispetto della volontà e della libertà di coscienza del cittadino. A tal fine l’unità sanitaria locale provvede per l’ordinamento del servizio di assistenza religiosa cattolica d’intesa con gli ordinari diocesani competenti per territorio; per gli altri culti d’intesa con le rispettive autorità religiose competenti per territorio”. Se non bastasse una legge ordinaria ce lo ricorda anche il Concordato tra Repubblica italiana e Santa Sede, che nel 1984 rinnovano i Patti lateranensi con un nuovo accordo: “La Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici”. Lo Stato italiano lo ha messo per iscritto, le Regioni hanno recepito, le aziende sanitarie locali hanno poi stretto convenzioni con le varie diocesi per assumere il personale. Tutto in regola e normato dalla legge. La domanda dunque è: quanto ci costa?

In Italia. L’Uaar, l’Unione atei e agnostici e razionalisti, che al tema ha dedicato l’inchiesta “I costi della chiesa”, pubblicata nel 2013 per le edizioni Nessun Dogma e reperibile on line, ha calcolato circa 1200 assistenti religiosi in tutto il paese per una spesa di 35 milioni di euro. Nel report del Sistema sanitario nazionale ‘Personale delle Asl e degli istituti di ricovero pubblici ed equiparati’ del 2013 gli assistenti religiosi in Italia sono invece 334, un quarto di quelli registrati dall’Uaar. 

Nelle Regioni. Su venti regioni italiane sono 17 quelle che hanno firmato un accordo con la Chiesa cattolica per assumere direttamente i religiosi: c’è la Sardegna, che oltre a un protocollo di intesa con la Conferenza episcopale sarda si è dotata pure di una legge specifica, la L. 13 del 1997 sulla ‘Disciplina dell’assistenza religiosa nelle strutture di ricovero delle aziende sanitarie. E poi Marche, Abruzzo, Calabria, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Province di Trento e Bolzano, Puglia, Lazio, Umbria, Sicilia, Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Campania. Non ci sono, invece, Val d’Aosta, Basilicata, Molise.

In Sardegna. Per capire quanti sono, dove lavorano e come sono pagati gli assistenti religiosi nell’Isola abbiamo incrociato atti, delibere e determinazioni delle aziende ospedaliere, ospedaliere-universitarie, delle otto Asl sarde e della nuova azienda Ats, oltre a informazioni dalle diocesi, carte dei servizi di strutture pubbliche e private e notizie reperite da fonti personali.

Quanti sono. Un primo calcolo, quello sul numero degli assistenti religiosi negli ospedali sardi, si può fare sulla legge regionale 13 del 1997 già citata: “La dotazione di personale di assistenza religiosa è determinata in relazione al numero di posti – letto dei presidi ospedalieri e delle altre strutture di ricovero esistenti nel territorio regionale in modo tale che vi sia un assistente religioso ogni 200 posti – letto“. Nelle strutture che superano i 1200 pazienti il numero aumenta di una unità ogni 350, ad esempio i religiosi dell’azienda ‘Brotzu’ di Cagliari sono due; negli ospedali piccoli può esserci una deroga, e così a Muravera c’è il parroco anche sotto i duecento. Calcolando che nell’Isola ci sono 5901 posti letto divisi in 39 strutture pubbliche e private, il numero dei religiosi si aggirerebbe attorno ai 30. Dai documenti ne possiamo contare 25: otto nel Cagliaritano, due a Carbonia e Iglesias, tre nel Sassarese, quattro nell’Oristanese, tre a Olbia e dintorni, uno a Sanluri, uno a Lanusei, tre nel Nuorese.

Chi sono. Sono tutti di fede cattolica: la legge regionale prevede protocolli di intesa tra la Regione e le diverse confessioni, ma finora l’accordo c’è solo con la Conferenza episcopale sarda. E gli altri? Musulmani, testimoni di Geova, induisti, ebrei e tutti quelli che professano una fede diversa dal cattolicesimo possono fare esplicite richieste di assistenza al personale dell’ospedale, ma non avranno a disposizione un ministro del culto nell’organico della struttura.

Il contratto di lavoro. Gli assistenti religiosi sono assunti con il contratto nazionale del comparto sanità, categoria D, lo stesso che si applica, ad esempio, a fisioterapisti, infermieri, educatori, ostetriche, assistenti sociali. La disponibilità è 24 ore su 24, per questo le strutture garantiscono al religioso un alloggio e un parcheggio personale. La retribuzione parte generalmente dalla fascia base: circa 24 mila euro all’anno tredicesima compresa.

L’accesso. Come per i docenti di religione nelle scuole, anche gli assistenti religiosi degli ospedali non entrano tramite concorso pubblico ma sono scelti dal vescovo: “È nominato con deliberazione del direttore generale dell’azienda – così l’art. 8 della legge regionale 13 del 1997 – di proposta dell’autorità religiosa competente per territorio”. Anche la sua sostituzione, così come funzioni e compiti, sono decise dal vescovo.

Dove lavorano. A Cagliari e dintorni ci sono otto assistenti religiosi. Quelli assunti dalla Asl 8 sono distribuiti così: due al Santissima Trinità di Cagliari, uno all’ospedale Marino, uno al San Marcellino di Muravera e uno al san Giuseppe di Isili. L’azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari, che comprende anche l’ospedale Businco, ha due persone attualmente in organico, mentre al Policlinico di Monserrato ce n’è uno. Alla Asl di Carbonia lavorano due persone scelte dalla Diocesi di Iglesias: si dividono tra il Sirai di Carbonia e il Polo ospedaliero di Iglesias5.
La Diocesi turritana ha scelto un nome per l’ospedale civile di Sassari, uno per l’ospedale civile di Ittiri, uno per quello di Thiesi, anche se la convenzione tra Asl di Sassari e curia prevede cinque persone in organico. Il vescovo di Oristano ha dato alla Asl 5 quattro nomi, divisi tra il San Martino di Oristano e Ales, Bosa e Ghilarza. Tre sono assunti dalla Asl di Olbia tra l’ospedale civile di Olbia, quello di Tempio e quello di La Maddalena. Uno si trova all’ospedale di San Gavino, assunto dalla Asl di Sanluri, uno è all’ospedale di Lanusei. A Nuoro ce ne sono tre: uno è di stanza al San Francesco e un altro allo Zonchello di Nuoro, il terzo si trova al San Camillo di Sorgono.

Totale: venticinque persone, assunte per la maggior parte a tempo indeterminato, che ogni anno costano fino a 24 mila euro a testa. Il conto, certamente inferiore alla realtà, è facile: la sanità sarda spende 600 mila euro per gli stipendi degli assistenti religiosi cattolici negli ospedali. A questa cifra vanno aggiunte tasse, assicurazione e contributi diversi, e naturalmente le spese per la celebrazione del culto. Anche queste a carico del nostro sistema sanitario.

Francesca Mulas

 

 

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