La tratta delle nigeriane: torture, riti voodoo e l’inganno della felicità in Italia

Tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù, immigrazione clandestina e riciclaggio: sono queste le ipotesi di reato formulate dalla Dda di Cagliari nei confronti di sette nigeriani e di un italiano, arrestati nell’operazione denominata “Benin City” tra la Sardegna (Ogliastra), il Piemonte (Torino) e la Toscana (Arezzo).

In carcere sono finiti Osobhawo Halley, Mike Agymase, Antony Osas, tutti e tre fermati questa mattina nel centro di accoglienza di Ilbono; Antonello Esposito, di Torino, Uwabor Ifeoma, Tongo Desmond, Valentina Ugiagbe e Ojo Lugard, quest’ultimi firmati tra Torino e Arezzo. Le indagini sono partite un anno fa dalla Squadra Mobile di Nuoro, coordinate dalla Procura di Lanusei: gli inquirenti avevano puntato i riflettori sul centro di accoglienza di Ilbono per un giro di droga. Ma i reati scoperti sono stati di tutt’altro tenore.

L’inchiesta è quindi passata al Pm della Dda, Rossana Allieri, che ha lavorato fianco a fianco con il procuratore di Lanusei Biagio Mazzeo. È stato così accertato – hanno spiegato in conferenza stampa  il dirigente della Mobile di Nuoro Paolo Guiso e il procuratore Mazzeo – che il centro dell’attività illecita era a Torino nelle mani di Uwabor Ifeoma detta “Precious”. La donna teneva le fila della tratta. Le ragazze schiavizzate, tutte dai 20 ai 30 anni – nove quelle identificate ma sarebbero almeno 30 quelle finite nel giro, alcune morte durante il viaggio sui gommoni verso l’Italia – venivano reclutate in Nigeria con la falsa promessa di un lavoro nel Belpaese, quindi trasferite sulle coste libiche e rinchiuse in campi profughi nella città di Sebha. Qui subivano ripetute violenze e prima di essere imbarcate sui barconi venivano sottoposte al rito voodoo: un modo, per gli aguzzini, per vincolare le giovani donne al pagamento del debito – circa 30mila euro le spese per raggiungere l’Italia – con la minaccia di morte, sia per loro sia per i familiari nel caso non avessero corrisposto il dovuto.

Giunte in Italia le ragazze venivano fatte scappare dai centri accoglienza,che le avevano prese in carico all’arrivo, per essere trasferite a Torino in appartamenti sotto il controllo dell’organizzazione criminale. Per liberarsi da questa condizione di schiavitù, erano costrette a prostituirsi sino al totale pagamento del debito contratto per il trasporto verso l’Italia. Il provento dell’attività illecita prendeva la strada della Nigeria con il sistema denominato “mano a mano“, ovvero consegnando il denaro ad alcuni corrieri che lo occultavano nei doppi fondi degli abiti, nelle scarpe o in pacchi, recapitandolo poi a una persona incaricata che provvedeva a versarlo sui conti nigeriani. Un ruolo centrale era svolto dai gestori di un money transfer di Torino che fungevano da centri di raccolta e smistamento del denaro illecito. Una volta in Nigeria, i soldi venivano utilizzati in parte per finanziare la prosecuzione dell’attività illecita, in parte per investimenti immobiliari.

Nel corso delle indagini sono stati sequestrati a due corrieri pronti per andare in Nigeria, circa 80mila euro, provento dell’attività di prostituzione in varie città italiane. La polizia ha inoltre apposto i sigilli a due appartamenti utilizzati dall’organizzazione.

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