La solidarietà corre sul web: a Cagliari in poche ore vestiti e scarpe per i migranti

“Ragazzi, a Pirri ci sono tantissimi ragazzi eritrei che vagano con infradito e maniche corte, e c’è un freddo spaziale. Troviamo abiti e scarpe usati da donare a questa gente?”. Comincia così, con un post su Facebook a metà mattina, la gara di solidarietà che ha coinvolto ieri moltissimi cagliaritani. A dare il via è Davide Cassanello, fotografo: per caso è passato vicino al Meditour Hotel, l’ex Motel Agip che ospita 233 dei settecento migranti giunti nell’Isola lunedì scorso, ha visto molti ragazzi anche giovanissimi che si aggiravano per le strade di Pirri con abbigliamento decisamente poco adatto alla stagione.

cassanello

Dal post di Cassanello sono partite segnalazioni, notizie e avvisi: occorre contattare la Caritas, sentire gli operatori. Ma qualcuno è stato più veloce, ha sparso la voce tra familiari e conoscenti e ha radunato abiti e accessori, destinazione via Italia e zone limitrofe. Qui è stato facile trovare i migranti che si aggiravano attorno all’hotel: molti avevano solo le infradito arancioni che un’associazione ha donato loro appena sono sbarcati a Cagliari dalla nave spagnola Numancia, addosso magliette a maniche corte e pantaloncini. In tanti si coprivano con asciugamani, gli stessi avuti in dotazione all’arrivo.

I ragazzi, per la maggior parte eritrei, hanno accolto i doni e scambiato qualche parola in inglese con le tante persone che nel pomeriggio si sono riversate a Pirri per portare gli abiti, alcuni hanno anche chiesto di poter fare una telefonata a casa per parlare con i familiari. Una solidarietà spontanea e rapida, messa in moto grazie ai social network. In serata c’è stato anche un sopralluogo della Croce Rossa che ha confermato la situazione di difficoltà in cui si trovano queste persone e l’ha segnalata alla Prefettura di Cagliari. C’è da chiedersi, infatti, perché la struttura che temporaneamente li accoglie non abbia dato loro abbigliamento e accessori adeguati come invece prevede l’accordo stipulato con la Prefettura, che parla di fornitura di beni tra cui “vestiario necessario in relazione alla stagione intendendo la fornitura del minimo necessario al momento dell’accoglienza presso la struttura”.

In attesa che si facciano le dovute verifiche e si chiarisca perché queste persone girassero infreddolite e senza scarpe, l’immagine scattata da Eliana Palmas, una delle prime a intercettare i ragazzi eritrei per portare loro i vestiti, in poche ore ha fatto il giro del web insieme alle sue parole. “Amici, si dice che se si fa del bene lo si dovrebbe fare in silenzio ma in questo caso trovo sia un detto inutile – ha scritto su Facebook. – Fuori c’è vento e fa anche freddo. Sapete cosa vuol dire il freddo? Non avere un giubbotto per vostro figlio mentre sei in strada e la temperatura è drasticamente inferiore a quella del tuo paese? Ho incontrato mamme con neonati avvolti con quasi nulla, ragazzi e bambini di 8 anni che camminano senza una meta e confermo che non hanno di che coprirsi. Con le mie amiche abbiamo preso tutto quello che abbiamo potuto caricare in 20 minuti da casa, riempita la macchina siamo andate direttamente ad incontrare queste persone. Non chiedono cibo, almeno non loro perché accederanno ad una mensa. Hanno gli occhi e le mani pieni di riconoscenza, li ho sentiti come fratelli. Ho trattenuto le lacrime perché loro mi sorridevano felici… ma non immaginavo una tale emozione. Non hanno niente se non quello che hanno addosso ora. Noi abbiamo case piene del troppo”.

Francesca Mulas

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