La “rivoluzione energetica”: niente mega-impianti e più efficienza

Piccolo è bello. Se dovessimo ridurre a una frase spot le linee guida del nuovo Piano energetico regionale che la giunta Pigliaru si appresta a varare, useremmo l’elogio del mini. Non solo o esclusivamente quel mini eolico che ha sollevato polemiche recenti, ma una politica energetica che parte da un dato di fatto: la Sardegna produce un 30% di energia elettrica in eccedenza rispetto al proprio fabbisogno. Un dato abbastanza impressionante che risiede in diversi fattori, ma che porta a stabilire delle priorità per il futuro energetico dell’Isola: partendo proprio dal raggiungimento di una efficienza energetica che esclude il ricorso a grandi impianti e, soprattutto, dovrebbe garantire il suolo agricolo dell’Isola, che non sarà “mangiato” da mega impianti o progetti che portino l’energia fuori dall’Isola a discapito degli interessi dei sardi.

Le linee guida: spazio alle rinnovabili, ma la bolletta non cala

Le linee guida del Piano energetica della giunta, che sostituirà quello varato nel febbraio del 2014 in chiusura di legislatura da Cappellacci, sono state anticipate da Simone Atzeni, economista e segretario particolare dell’assessore all’Industria, Maria Grazia Piras, nel corso del convegno dal titolo “Le politiche energetiche del Mediterraneo: l’Unione Europea, la Sardegna e la sponda sud”. Si parte dal presupposto che il crollo dei consumi energetici dal 2009 ad oggi è imputabile a due fattori: la crisi economica e la chiusura dell’Alcoa, che con tutte le celle elettrolitiche in funzione copriva il 27% della domanda energivora della Sardegna.

Sulle rinnovabili la Sardegna sembrerebbe già avanti anni luce rispetto a molte altre regioni italiane. Basti pensare che per le direttive europee l’Isola dovrebbe avere una quota di energia prodotta da rinnovabili al 17,8% della produzione complessiva, mentre la Sardegna nel 2013 si attestava al 45,8%. “Parliamo certamente di un dato drogato dagli incentivi – spiega Simone Atzeni – ma che depurato raggiunge un 29,3% nel rapporto tra produzione da energie rinnovabili su quella complessiva di energia elettrica”. Il problema di fondo è che questo incedere a passo di carica delle rinnovabili (nel 2005 la produzione era solo al 6% su quella totale), non ha prodotto alcun beneficio, visto che le bollette in Sardegna non sono affatto diminuite.

La mancata metanizzazione costa ai sardi 420 milioni di euro

Il gap tra Sardegna (l’unica regione italiana senza il metano) e altre regioni sul mercato per la mancanza del metano è stato quantificato dalla Regione in 420 milioni di euro. Dunque si pone il problema dell’uso e della strategia energetica per quanto riguarda il termico. Solo che la Regione ha fatto una stima presunta della domanda di energia termica in Sardegna per quanto riguarda il metano da qui al 2030: la crescita della domanda si attesta su un + 1% all’anno. Si parla di volumi tra i 600 e i 620 milioni di metri cubi all’anno. Abbastanza da richiamare gli investimenti privati per la costruzione di un grande rigassificatore, nel caso che la soluzione fosse quella del Gnl, il metano liquido che promette di conquistare i mercati energetici della sponda sud del Mediterraneo? Probabilmente la risposta è no. Da qui si giustifica anche la scelta della Regione di partire dall’efficientamento energetico con la costituzione di un Catasto regionale che si occupi di misurare le performance energetiche degli edifici pubblici, partendo dal presupposto che un ottavo del consumo energetico della Regione è determinato dagli stessi edifici pubblici. La Regione ha deciso di stanziare quasi 20 milioni di euro per portare a termine questo progetto.

Rinnovabili verso lo stoccaggio: il progetto di utilizzo del polo elettrico di Codrongianos

La chiave del ragionamento impostato dalla giunta Pigliaru è che la produzione tradizionale di energia elettrica è scesa, mentre aumenta costantemente quella da rinnovabili: la quota di produzione eccedente rispetto al fabbisogno corrente in Sardegna allo stato attuale è del 29,8%. Oggettivamente uno sproposito e sarebbe un’occasione persa non ottimizzare questa risorsa. Dunque si deve cercare di procedere con lo stoccaggio di questa energia, che potrebbe essere distribuita e venduta da parte della Sardegna. Sì, ma come? Qui potrebbe venire in aiuto il mega impianto di Codrongianos, vicino a Sassari, di proprietà di Terna, dotato di mega accumulatori di energia. Il sito accoglie, infatti, un importante impianto di accumulo dell’energia elettrica, previsto da Terna nel piano di difesa della rete elettrica, che sarà il cuore pulsante dello “Storage Lab”, il programma sviluppato dal gruppo in accordo con l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, per testare le diverse tecnologie esistenti per l’uso ottimale dei sistemi di accumulo per lo storage elettrico al servizio della sicurezza della rete e che rappresenta uno dei più grandi impianti multitecnologici del mondo.

A Codrongianos, inoltre, sono stati installati i primi due compensatori sincroni, enormi macchine, frutto dell’expertise made in Italy – prodotte da Ansaldo Energia – che regolano i flussi dell’energia in modo da migliorare la stabilità e la sicurezza della rete, con le quali i tecnici di Terna hanno potuto sventare un pericoloso black out l’11 novembre scorso, che avrebbe lasciato al buio l’intera Sardegna per diverse ore. Dalla sicurezza della rete, la tecnologia già esistente nell’Isola potrebbe essere usata per immagazzinare e stoccare parte dell’energia prodotta e non utilizzata. Il costo per l’acquisto di un ulteriore accumulatore si aggirerebbe, secondo i conti della Regione, in circa 200 milioni di euro. Un investimento che va dunque ponderato con attenzione.

Dalla smart grid e l’internet dell’energia alla “generazione distribuita”

Qui siamo a quelle che tecnicamente vengono definite ipotesi di scenario. Ma la generazione distribuita è certamente la strada maestra sulla quale ha intenzione di avviarsi la politica energetica futura della Regione e la strategia portante del nuovo Piano energetico regionale. In cosa consiste la generazione distribuita? Si tratta dell’elemento fondamentale del nuovo paradigma energetico che propugna come questa sia l’unica forma di generazione che consente la diversificazione dei vettori energetici e uno sfruttamento delle risorse di energia rinnovabile che per la loro scarsa intensità non possono essere convenientemente impiegate in sistemi di potenza e produttività comparabili a quelli alimentati ad energia fossile, ma che per la loro presenza capillare sul territorio possono essere vantaggiosamente impiegate localmente.

In pratica la Regione sostiene che le rinnovabili sono difficilmente programmabili e gestibili per tutta l’Isola, essendo le fonti come il sole e il vento non del tutto applicabili a consumi programmati. Tuttavia la creazione di un sistema locale ma diffuso che sfrutti per produrre energia le fonti rinnovabili, potrebbe generare un plusvalore importante. In un’ottica di scenario arriva anche il concetto di internet dell’energia: un sistema di condivisione dell’energia in grado di rendere più efficienti i consumi e quindi più sostenibili con l’ambiente e le città. La smart grid porta l’elettricità dalle centrali alle case, ma anche dagli impianti solari dai tetti delle case alla rete; raccoglie dati e informazioni, gestisce le luci delle strade e le richieste variabili di potenza. Su queste basi, attraverso l’evoluzione della tecnologia, appare più chiaro l’assunto di partenza in ragione del quale la Regione appare contraria a dotarsi di grandi impianti, con un consumo del suolo abnorme, per indirizzarsi verso una produzione destinata al consumo interno e all’abbattimento definitivo dei costi della bolletta elettrica.

Il futuro del metano, dall’uscita dal Galsi ai nuovi modelli di metanizzazione

L’uscita della Regione dal Galsi non è definitiva. Simone Atzeni, braccio destro dell’assessore all’Industria, Anna Maria Piras, conferma quanto già filtrato nelle ultime settimane: la giunta Pigliaru ha scelto di uscire dalla compagine societaria, ma non sono stati ritirati i “permitting”, le autorizzazioni amministrative. Se dovessero decidere di costruire comunque il tubo che dall’Algeria arriva in Sardegna, la Regione non potrebbe opporsi, anche se le possibilità sono remote.

Ecco che quindi, Galsi a parte, sono tre i modelli di metanizzazione che la Regione sta studiando. “Il primo è un Galsi Reverse – spiega Atzeni – una stazione di pompaggio che cammina in senso opposto, da Piombino verso Olbia, con un flusso di gas che transiterebbe da nord verso sud”. Costi? Si parla di quasi 2 miliardi di euro. Ma mancano i “permitting” della Toscana e i tubi sottomarini passerebbero proprio all’interno del Santuario dei cetacei. Ma quello che non torna è la sostenibilità economica dell’iniziativa. Snam Rete Gas ha valutato che un simile progetto diventerebbe redditizio per una capacità metanifera di almeno 4 miliardi di metri/cubi all’anno. Ma in Sardegna attualmente il consumo si aggira sui 650 milioni di metri/cubi, una domanda interna troppo bassa per giustificare costi infrastrutturali elevati.

I mini rigassificatori e il metano liquido

Un’altra ipotesi è quella che va per la maggiore al momento e che si basa sulla costruzione di mini rigassificatori. Si tratta di impianti piccoli, dalla portata massima di 800 milioni di metri cubi, ma che possono essere costituiti da più moduli da 150 milioni di metri cubi ciascuno. Si tratta di impianti finanziati da privati che avrebbero una valenza dedicata a singole strutture produttive, industrie o imprese di medie dimensioni. Sulla possibilità di un investimento pubblico restano grossi dubbi: in primis derivanti dal fatto che per collegare l’impianto di rigassificazione, dove arriverebbe il metano liquido (Gnl, Gas naturale liquefatto), con zone della Sardegna difficilmente raggiungibili, si renderebbe necessaria la costruzione di una dorsale che richiederebbe permessi e autorizzazioni complesse. Un iter che, inevitabilmente, dovrebbe coinvolgere le popolazioni locali. I depositi costieri ospiterebbero il Gnl che arriva allo stato liquido dentro le navi metanifere, che utilizzano il sistema criogenico: il gas è liquefatto a -162 gradi centigradi, ma il ritorno allo stato gassoso ne moltiplica il volume per 600 volte. Ne deriva l’esigenza di infrastrutture adeguate per lo stoccaggio, mentre i piccoli depositi costieri avrebbero la possibilità di coprire le esigenze di piccole nicchie di mercato: dal metano nelle pompe di benzina ai motori navali a biocombustibile.

I costi del mancato arrivo del metano e il futuro del gas semicompresso

Resta irrisolto il problema della mancanza del metano in Sardegna. La Sardegna non usa metano perché non ha alcun collegamento con i gasdotti nazionali. Le imprese e le famiglie bruciano derivati del petrolio importati via nave, come Gpl in bombola o aria propanata. La differenza pagata dai sardi sul costo medio del metano è di 2,11 euro per metro cubo, contro 0,8 euro per metro cubo del resto d’Italia. Questo crea un gap economico che è stato quantificato in 420 milioni di euro. Resta quindi una terza opzione, ancora allo studio, che fa riferimento al cosiddetto gas semicompresso. Parliamo di una tipologia di fonte energetica che rappresenta una via di mezzo tra il Gnl e il metano, con pregi e difetti, che potrebbe entrare nel mercato italiano in virtù di ingenti investimenti fatti da Eni su nuovi giacimenti in Mozambico. Ma si tratta per ora di ipotesi residuale, che guarda troppo al futuro per diventare parte essenziale del nuovo Piano energetico regionale.

Giandomenico Mele

 

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