La giornata contro la violenza sulle donne: la terapia per gli uomini violenti

Sono studenti, disoccupati, professionisti, poveri e ricchi, plurilaureati o senza istruzione. Giovani, addirittura minorenni ma anche adulti, anziani. Difficile, se non impossibile, tracciare l’identikit dell’uomo che compie violenza su una donna: il possesso, il sopruso, la ‘gelosia’ malata che arriva a uccidere non hanno volto. I Cam – Centri di ascolto per gli uomini maltrattanti, al lavoro negli ultimi anni in tutta Italia e presenti anche in Sardegna, restituiscono una fotografia degli individui violenti dai contorni vaghi e indefiniti: la violenza di genere è trasversale, concordano gli esperti, e l’unico elemento comune è la visione della donna come un oggetto su cui esercitare il potere.

Il primo Cam italiano è nato a Firenze nel 2009 con l’obiettivo di dare supporto a “quegli uomini che vogliono intraprendere un percorso di cambiamento ed assumersi la responsabilità del loro comportamento di maltrattamento fisico e/o psicologico, economico sessuale, di stalking”. Da allora sono nate altre strutture a Ferrara, Roma e Cremona e nel 2014 è sorto il Centro ascolto uomini maltrattanti del Nord Sardegna con sedi a Sassari, Olbia, Nuoro e Oristano. “Attenzione, maltrattanti, non maltrattati – sottolinea con una punta di ironia Nicoletta Malesa, presidente del Cam – è una precisazione doverosa, visto che di solito gli uomini che ci chiedono aiuto sono convinti di essere nel giusto e non hanno la consapevolezza delle loro azioni”.

La consapevolezza, appunto, è il primo passo per chi sceglie di affrontare un percorso presso un Cam: in genere gli uomini si avvicinano ai centri spontaneamente o spinti dalle compagne, altri tramite gli assistenti sociali, le istituzioni, le forze dell’ordine. Ma non tutti sono  disposti a proseguire: “Un primo colloquio privato serve per capire chi è davvero intenzionato a uscire dalla spirale di violenza – sottolinea Malesa – e in effetti tra quelli che ci contattano alcuni non vanno avanti”. Il Cam del Nord Sardegna ha raccolto le richieste di aiuto di tantissimi uomini ma alla fine solo in 26 dal 2014 a oggi sono stati costanti: “I numeri sembrano pochi ma in realtà per noi è un grande risultato – sottolinea Nicoletta Malesa – perché finalmente si inizia ad affrontare il problema da una prospettiva nuova e si dà un nome e una connotazione precisa alla violenza sulle donne. Inoltre noi del Cam Nord Sardegna abbiamo una doppia esperienza che arriva dai centri antiviolenza con le donne e dai gruppi d’ascolto per uomini”.

Il protocollo messo a punto dal Cam di Firenze e adottato poi dagli altri centri italiani prevede 18 sedute settimanali di gruppo. Nelle prime ci si racconta, si mettono sul tavolo i propri comportamenti, si condividono storie personali, si discute e ci si confronta. Nel percorso vengono coinvolti professionisti diversi tra assistenti sociali, psicologi e psicoterapeuti, psichiatri, educatori e facilitatori. Volontari, dato che i finanziamenti per questi progetti ancora non esistono: chi lavora all’ascolto mette a disposizione tempo e competenze gratis.

Lo stesso protocollo Cam è usato anche a Cagliari dall’associazione Donne al traguardo, che ha messo in piedi il progetto Game, Gruppo ascolto maltrattanti in emergenza: “Una ventina gli uomini coinvolti dal 2014 a oggi – ci racconta Silvana Migoni, presidente di Donne al traguardo – sono tutte persone che hanno accettato di affrontare un iter di crescita e consapevolezza. Una delle spinte più forti è quella di riprendere una relazione o di non perdere il rapporto con i figli: sono persone deboli, che vivono in condizioni di ansia e disagio, e percorsi come questo sono utili, se non a cambiare completamente, almeno a contenere certi comportamenti”.

Tra le persone seguite nel Cagliaritano ci sono anche quattro carcerati che hanno affrontato spontaneamente il percorso tra le mura della Casa circondariale di Uta: due colpevoli di stalking, uno in carcere per violenza, un omicida, tutti intenzionati a capire e cambiare. “Inizialmente arrivano agli incontri con l’idea di essere vittime, di aver reagito a un’offesa o una provocazione, o di essere stati mossi da uno scatto d’ira incontrollabile – ci spiega Marcello Dessena, psicologo e psicoterapeuta che ha lavorato nel progetto Game – poi iniziano a capire che qualsiasi violenza è una scelta, che si tratti di botte, insulti, ricatti. In nessun caso si perde la testa, o si commette un gesto violento per reazione, c’è sempre la possibilità di scegliere”.

Nella maggior parte dei casi il comportamento degli uomini maltrattanti arriva da lontano: esempi visti in casa, o relazioni da sempre condotte in maniera sbagliata. “Noi tutti siamo fatti di relazioni – precisa ancora Dessena – e viviamo quotidianamente conflitti: è normale, siamo umani, la differenza è come si vivono e affrontano i conflitti. Molti ammettono di compiere violenza sulle compagne per ristabilire un ruolo di superiorità, altri dicono serenamente che non vogliono sembrare deboli davanti agli altri, agli amici. Non dimentichiamo, poi, che quotidianamente la società ci mette davanti storie ed esempi di soprusi e prepotenza che inconsciamente assorbiamo”.

Per lavorare con gli uomini maltrattanti è importante mettere da parte pregiudizi e saper ascoltare le storie di chi ha sbagliato: solo così si può trovare insieme la chiave per uscire da un comportamento prevaricatore e violento. Fondamentale, poi, il lavoro in gruppo: “Il ruolo degli altri è importantissimo – conclude Dessena – il gruppo rappresenta, in piccolo, la società, e commenti e reazioni di terzi che si trovano nella stessa situazione fanno davvero guardare se stessi da una prospettiva diversa. L’uomo maltrattante non si sente giudicato ma impara a vedere che la violenza non è l’unica strada”.

(nella foto di Roberto Pili il carcere di Uta)

Francesca Mulas

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