Igea, il giorno che Tuveri sgridò il presidente

Giampiero Pinna, presidente della Consulta delle associazioni per il Parco Geominerario era andato a far visita al presidente dell’Igea Battista Zurru. C’era un problema da risolvere: i volontari delle associazioni del Parco avevano creato dei sentieri turistici per visitare i siti minerari, ma l’Igea aveva installato una rete di protezione attorno alla Laveria Lamarmora, bloccando in questo modo l’accesso ai visitatori. Pinna stava esponendo il caso a Zurru, nella speranza di trovare una soluzione, quando la porta dell’ufficio si spalancò di colpo. Marco Tuveri irruppe nella stanza senza chiedere permesso, come se quell’ufficio fosse il suo, e intimò a Zurru, in modo brusco, di chiudere al più presto quella conversazione.

Pinna, come si può facilmente immaginare, non ha mai dimenticato quella scena. E anche per questo oggi è affatto sorpreso per l’inchiesta della procura della Repubblica di Cagliari che ha individuato in Tuveri, ufficialmente sindacalista della Uil e formalmente dipendente della società come autista, il vero “capo” della Spa della Regione che avrebbe dovuto bonificare i siti minerari.

Quando Igea cominciò a costruire, senza le dovute autorizzazioni, il muraglione di contenimento all’ingresso di Nebida – lavori affidati senza alcuna gara d’appalto – molti notarono che il tutto avveniva sotto la supervisione di Tuveri. D’altra parte era stato lui, si diceva, a occuparsi delle assunzioni di una parte del personale. Per questo modo di fare clientelare ci furono anche proteste da parte dei Democratici di sinistra, proteste che portarono alla sospensione delle opere. Che, infatti, sono ancora da terminare.

Di certo Marco Tuveri ha sempre avuto un occhio attento al patrimonio immobiliare di Igea. L’inchiesta della magistratura ha messo sotto la lente d’ingrandimento la gestione, all’apparenza impropria, delle risorse immobiliari della società. Gestione che non pare essersi rimasta limitata alla Galleria Chessa di Nebida, trasformata da sito minerario di interesse turistico in garage per l’auto di Daniela Tidu, segretaria  e compagna di vita di Tuveri , con annesso appartamento in costruzione.

La presenza del sindacalista-manager, infatti, è stata avvertita anche altrove. Ad esempio nella gestione delle case che insistono sulla spiaggia di Masua (divenute di proprietà dell’Igea, in base alla legge regionale 33). A quanto pare Tuveri, insieme ad altri, ne ha avuto l’uso. Al punto che, chissà con quale autorizzazione urbanistica, vi sono stati anche apportati dei piccoli ritocchi architettonici.

Una situazione che ha creato disagio e molte perplessità. Specie nei tanti sulcitani che ricordano che quegli stessi immobili, tra gli anni ’60 e ‘70, ospitarono una colonia estiva per bambini, figli di dipendenti della miniera e di famiglie indigenti, grazie all’opera dell’allora parroco di Campo Romano, don Gino Bianchi, e dei suoi assistenti.  Don Bianchi, tramite la diocesi, chiese e ottenne l’uso di quegli immobili fino ad allora disabitati. Venuta a mancare l’opera del prelato, la diocesi interruppe l’attività della colonia e le case di Masua ritornarono in uso al direttore della miniera, ai capi servizio. E ai sindacalisti.

Successivamente, al tempo della giunta regionale guidata da Renato Soru, quegli stessi immobili diventarono l’oggetto del contendere in una vertenza giudiziaria.  Gli occupanti, infatti, tentavano di acquisirne la proprietà, e la Regione si opponeva.  Con l’avvento della giunta di Ugo Cappellacci, non si sa come, quella causa è stata dimenticata e gli immobili sono rimasti in mano agli occupanti. La possibilità di farli rientrare nel patrimonio immobiliare pubblico e di destinarli a  finalità sociali è venuta meno. E dire che già delle cooperative di giovani disoccupati avevano presentato progetti per il recupero a fini turistici. Progetti, peraltro, sempre respinti dall’Igea.

Negli ultimi tempi, poco prima della esplosione dell’inchiesta giudiziaria, si era cominciato anche a parlare dell’intenzione di Igea di dare in concessione per 99 anni vaste distese di territori ex minerari: decine di ettari di sugherete, in zona di Monteponi e Monte Agruxiau, da cedere al solito senza alcun bando pubblico. Il Far West delle dismissioni sembrava incominciato. Poi è arrivata la Procura di Cagliari.

Carlo Martinelli

 

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