Fondi ai gruppi, affondo del Pm: “Il Consiglio si considerava insindacabile”

Il pm Marco Cocco ha dedicato la premessa della requisitoria alle reazioni avute dal Palazzo nel 2009, quando venne avviata l’inchiesta sui fondi ai gruppi.

“L’Assemblea regionale considerava insindacabile la propria attività”. Il pm Marco Cocco, titolare della doppia inchiesta sui fondi ai gruppi, lo dice in apertura di requisitoria, davanti al giudice Mauro Grandesso, nel processo che vede imputati quattordici consiglieri regionali della XIII legislatura (2004-2009). Il magistrato inquirente – che oggi ha esaminato le prime cinque posizioni (qui la cronaca: le pizze e i soldi per le donne delle pulizie) -, dedica la premessa proprio alla reazioni avute dal Palazzo nel 2009, quando la prima indagine venne avviata dopo l’esposto presentato dall’allora funzionaria del gruppo misto, Ornella Piredda.

Il pubblico ministero parla di “filo rosso” che lo stesso pm traduce nel “no del Consiglio regionale ai poteri esterni”. Quindi ricorda cosa rispose il capo dell’Ufficio legale “alla richiesta di accesso ai documenti da parte della Procura di Cagliari”. Per l’avvocato Massimo Falchi Delitala “la libertà delle determinazioni di spesa era presidio dell’Assemblea legislativa e affermò che la richiesta doveva considerarsi un indebito controllo”. Fu invece l’allora presidente dell’Aula, Giacomo Spissu, a paventare la possibile “apertura di un conflitto di attribuzione”.

Il magistrato inquirente usa quindi una metafora, paragonando il Consiglio “al guardiano della legge” che rifiuta di interloquire con “l’uomo di campagna. Eppure – prosegue il pm – le verifiche sui documenti non erano dettate da alcuna fantasia di persecuzione, ma si trattava di svolgere funzioni imposte dalla legge, vista la natura pubblica delle risorse”.

Marco Cocco Ornella Piredda
Ornella Piredda in aula. Accanto il pm Marco Cocco

Per il pm anche alcuni avvocati hanno sostenuto la stessa posizione, considerando il lavoro della Procura “un’aggressione illegittima alle prerogative del Consiglio, una sostanziale interferenza nelle guarentigie dell’Assemblea e ciò come un fiume carsico ha attraversato tutta l’inchiesta. Si ricordi – ha proseguito Cocco – l’increscioso episodio del 29 settembre 2009: la polizia giudiziaria si era accordata con la Piredda per andare a recuperare alcune carte nel suo ufficio. Ma il capo dell’Ufficio legale bloccò l’accesso invocando un’immunità di sede. Eppure non era in un atto alcun bivacco di manipoli né una marcia su via Roma. Non si è mai capito se l’attività della Procura, vissuta come un’aggressione fisica, fosse il tentativo di creare il presupposto per uno scontro istituzionale. Di certo il lavoro dei magistrati è stata considerato in rotta di collisione con gli organi della Regione, una lesione alle immunità penali, necessarie al libero esercizio dell’attività politica”.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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