Ecco il “Sistema Eurallumina”: le strategie per nascondere i veleni

Una fitta rete di relazioni, un sistema ramificato, collaudato e capace di adattarsi alle diverse evenienze ha sorretto le condotte dei dirigenti dell’Eurallumina finite sotto la lente del pm Marco Cocco, prima e dopo i sequestri del Bacino dei fanghi rossi e della Sala pompe dell’Enel del settembre 2009. In altre parole, quelle usate dai Carabinieri del Noe che hanno svolto le indagini nell’ambito dell’inchiesta della procura di Cagliari, si è in presenza di un “sodalizio” dotato di “un organigramma e di strategie” e basato su “accordi” utili a farla franca. Non mancano neanche gli espedienti per evitare che gli inquirenti accedano a importanti documenti e gli stratagemmi- a cavallo tra lecito e illecito – per ‘aggiustare’ le analisi sui livelli di contaminazione delle acque, come quello consigliato al direttore dello stabilimento ‘Eurallumina’ Nicola Candeloro dal direttore di Saras Ricerche e Teconologie Edoardo Suardi – che non risulta iscritto nel registro degli indagati – nella telefonata registrata dai Noe. “Occorre filtrare l’acqua contaminata prima di sottoporla ad analisi. In questo modo – spiega Suardi – come per magia l’arsenico scompare e il livello degli altri metalli pesanti diminuisce”. C’è, poi, anche il professore universitario, l’esperto proveniente dall’accademia che dà ‘buoni’ suggerimeni al direttore dello stabilimento per limitare i danni in seguito.

Quando l’illecito si consuma nel silenzio

Chi ha ruotato – e ruota – nell’orbita del sistema può essere visto all’opera e seguito nell’azione attraverso le intercettazioni effettuate tra l’agosto del 2008 e il maggio del 2010 dai Noe guidati dal comandante Angelo Murgia di cui Tgr e Sardiniapost hanno dato un’anticipazione nei giorni scorsi. Specie in relazione al reato di smaltimento illecito di rifiuti contestato a Candeloro e all’amministratore delegato dell’Eurallumina Vincenzo Rosino, accusati entrambi di aver illecitamente pompato l’acqua di falda contaminata dalla Sala pompe dell’Enel agli impianti del circuito dell’alluminio. Un’anomalia, questa, resa ancora più inquietante dal fatto che “il piano di caratterizzazione predisposto dall’Enel nelle aree di sua proprietà avrebbe dovuto evidenziare l’emersione dell’acqua di falda” precisano i Noe. “Ma di quell’acqua contaminata non c’è traccia nei documenti ufficiali del Sito d’interesse nazionale di bonifica sel Sulcis – Iglesiente – Guspinese”, continuano gli inquirenti. E aggiungono: “Nonostante il problema fosse noto addirittua al Ministero, gli enti competenti non avrebbero imposto ad Enel ed Eurallumina di gestire quell’acqua come rifiuti da smaltire in impianti autorizzati”.

Politica e scienza ancelle di Eurallumina

eurallumina1Nella comunicazione tra Candeloro e Rosino del 24 settembre 2009 (il giorno successivo al sequestro del bacino dei fanghi rossi, n.d.r), Rosino, uomo sempre ben informato, sostiene che “quello che gli inquirenti troveranno nel bacino sarà quello che pompano dall’acqua dell’Enel, e che proprio questo è ‘il teorema del sequestro'”. Teorema, in ogni caso, che all’epoca gli inquirenti tenevano segreto, come specificato dagli stessi Noe nelle carte dell’inchiesta. All’osservazione di Rosino, Candeloro risponde che “bisogna redigere una relazione tecnica per smentire il tutto”.

Da un punto di vista tecnico, l’obiettivo dei dirigenti è evitare che l’acqua contaminata pompata dalla falda che affiora all’interno degli stabilimenti Enel venga considerata un rifiuto, “perché sennò ci inchiappettano”, spiegava Candeloro all’amministratore delegato della Portovesme srl Carlo Lolliri il giorno del sequestro, facendo oltretutto presente la necessità di un intervento politico per scongiurare il rischio di essere accusati di smaltire illecitamente rifiuti pericolosi. Sempre per scongiurare questo rischio, i dirigenti dell’Eurallumina hanno anche bisogno di risultati ‘rassicuranti’ sulla quantità di veleni presenti nell’acqua di falda.  Ecco allora Candeloro che cerca d’informarsi sulle modalità con cui l’Arpas ha condotto le analisi dell’acqua, per capire se “l’ente regionale per la protezione dell’ambiente utilizzi le stesse tecniche della Sartec”. È proprio questo l’argomento della telefonata del 12 ottobre 2009 tra Candeloro e Giorgio Tore, da poco nominato a capo del dipartimento Arpas di Portoscuso. Lì per lì Tore non sa rispondere, ma dice a Candeloro che” gli farà sapere, perché la responsabile del laboratorio Maria Cossu non c’è”. Candeloro chiede anche a Tore “se si possano mandare due ingegneri a parlare con i tecnici”. Tore s’impegna a fargli sapere . A dimostrazione del fatto che subito dopo il sequestro il problema maggiore per Candeloro e Rosino riguarda le analisi dell’acqua di falda contaminata c’è l’emblematica telefonata tra Candeloro e Edoardo Suardi, direttore di Saras ricerche. È dunque Suardi a informare Candeloro che “basta filtrare l’acqua prima delle analisi e si trovano molti meno metalli”. Addirittura Sartec avrebbe preso accordi con Arpas per eseguire in questo modo analisi riferibili a numerosi casi di siti inquinati. Suardi specifica anche che “la pratica è comprovata dall’esperienza fatta nell’ambito della bonifica della Bridgestone di Macchiareddu di cui proprio Sartec si era occupata”. “Lì a Macchiareddu, dove c’era inquinamento da metalli pesanti, i problemi non si riscontravano solo se l’acqua veniva filtrata e in quel caso come per magia l’arsenico scompariva”, precisa il direttore di Saras Ricerche. Più che della richiesta di un informazione, per Candeloro sembra trattarsi di una ricerca di conferme, visto che nella telefonata del giorno prima con Tore aveva dimostrato di non essere completamente all’asciutto del metodo “Sartec”, peraltro accettato dalla stessa Arpas, come dice lo stesso Suardi.

Non manca il professore universitario

arsenicoIl caso in cui la scienza si rivela ancella degli inquinatori non è fortuito. Infatti, nel frattempo, Candeloro produce una relazione – probabilmente si tratta di quella a cui aveva fatto riferimento nella prima telefonata con Candeloro – che invia all’ordinario di ingegneria dell’Università di Cagliari Antonio Viola, che come Suardi non risulta indagato. Il professore informa Candeloro “di aver appuntato una correzione al documento nella parte dei rifiuti liquidi (acque di falda contaminate del sito Sala Pompe Enel, ndr), infatti gli suggerisce di affermare che l’acqua era prelevata per ragioni di siccità”. Per tutta risposta, Candeloro precisa che “quella parte è da integrare o da sostituire e se ne sta occupando Paolino Serra” (già dirigente Eurallumina ed ex vicesindaco del comune di Portoscuso). Viola, da parte sua, ribadisce che “Candeloro deve dire che ha preso quell’acqua, sempre chiamata ‘acqua di falda’, ma , che ad un certo punto si è accorto che si trovava inconsapevolmente a trattare un rifiuto liquido”. In pratica, il prof. suggerisce a Candeloro una sorta di ravvedimento operoso, ma solo a metà visto che dovrebbe dimostrare la propria iniziale buona fede, assente invece sin dall’inizio per gli inquirenti.

Dritte al telefono durante il sopralluogo dei Noe

Nel frattempo, vanno avanti i controlli effettuati dal Consulente del giudice e dai Noe. Ed è proprio in occasione del sopralluogo dell’11 novembre che si riesce a rendere un altro vivido spaccato del sistema Eurallumina. Infatti, all’ispezione del Bacino dei fanghi rossi – “in quel momento incentrata sulla ricerca della falda strumentata”, precisano i Noe –  sono presenti sia il responsabile del settore Ambiente dell’Eurallumina Lucia Caddeo (anche lei fuori dal registro degli indagati) e Nicola Candeloro. Ma la prima chiama al telefono il secondo e gli dice di comunicare in modo non troppo evidente che la falda strumentata è al settimo livello e non al nono, come le sta riferendo il tecnico Boasso. Sarà stato questo un tentativo di inquinare le prove? La forma dubitativa è d’obbligo, ma al di là del significato contestuale delle mosse di Caddeo e Candeloro si può apprezzare un vivido spaccato di interazione certo condizionata dalla presenza dei Noe.

Il binomio Lucia Caddeo e Candeloro si ripresenta sovente nel corso delle intercettazioni, specie quando l’attenzione degli inquirenti si concentra sul Bilancio idrico della società, documento da cui è possibile in via teorica ricostruire tutti i volumi e il ciclo delle acque all’interno del bacino dei fanghi rossi e dello stabilimento. Quando, infatti, nel corso di un nuovo controllo Caddeo paventa a Candeloro la possibilità che gli inquirenti le chiedano di avere il bilancio idrico, Caddeo gli ordina di non darglielo. La risposta della Caddeo è che lei sa di non doverlo dare. In questo caso, invece, sembra proprio di essere in presenza di una restrizione all’accesso dei documenti da parte degli inquirenti.

La questione del bilancio idrico si ripresenta pochi giorni più tardi, il 2 marzo, in occasione di un ulteriore sopralluogo degli inquirenti. Allorché Caddeo chiede di nuovo a Candeloro cosa debba fare in caso di una nuova richiesta del documento, il direttore dello stabilimento le ordina di dire che c’è sciopero e che essendoci la gente ai cancelli non si può entrare. La Caddeo è titubante, ma abbozza e saluta.

Piero Loi

 

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